“Non ho la più pallida idea di chi sia Neruda!” – Incontro con Pablo Larrain

“Non lo definirei un film su Neruda ma sull’universo nerudiano, o meglio, un film su Neruda scritto da Borges” scherza il regista cileno alla presentazione del film di stamani alla stampa italiana

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“Dopo che ho letto varie biografie su Neruda, tra cui quella scritta di suo pungo (Confesso che ho vissuto), dopo che ho incontrato le persone con che con lui hanno condiviso parte della loro vita e dopo che ho speso cinque anni per girare un film su di lui non ho ancora idea di chi sia realmente Pablo Neruda” ammette sornione Pablo Larrain, golden boy del cinema sudamericano arrivato a Roma per presentare il suo ultimo film cileno prima dell’inevitabile salto ad Hollywood. Un salto già filmato in Jackie, presentato alla recente Mostra di Venezia, ma a cui nessuno misteriosamente fa riferimento, irretiti forse dall’annuncio della moderatrice che ammonisce subito: “qui si parla solo di questo film”.

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Così nei saloni glacialmente marmorei di un hotel a cinque stelle romano, simili a quelli pacchiani dei parlamentari che davano la caccia a Neruda, si consuma l’ultimo incontro con il Larrain cileno, colui che film dopo film ha ricostruito l’anima di un popolo martoriato dalla dittatura. L’ultimo atto risiede nel corpo del poeta Neruda, che Larrain definisce “la cartografia del Cile”.

“Neruda è ovunque, nel mare, nelle montagne, nelle strade, nei vestiti, nei capelli della gente, avevo molta paura ad occuparmi di un personaggio così complesso.” Quando ha capito che era impossibile racchiudere Neruda in un solo film Larrain si è rilassato ed è tornato a respirare il suo cinema fatto di realismo magico e impegno civile, due anime che coincidono con i versi del poeta cileno. “Neruda era sia un poeta che un politico e all’epoca nessuno ci trovava nulla di strano, perché era comunista. Ora bisogna sempre distinguere le due cose, immaginiamo un poeta che scrive poesie contro Trump, nessuno penserebbe che scrive poesie, invece Neruda ne Il canto generale, il libro che pubblica durante la sua clandestinità, scriveva cose tremende sul governo ed era considerata ugualmente poesia. Con la sua opera voleva cambiare il mondo.”

neruda

Il film di Larrain non ha tale scopo, al massimo ambisce ad essere “un poema che Neruda avrebbe letto volentieri”. Un anti-biopic che mescola panorami western, ombre noir e squarci mélo allontanandosi ad ogni inquadratura, ad ogni taglio di montaggio dalla presunzione del realismo, una pericolosa trappola, come la definisce. Infatti nonostante la notevole mole di ricerca, il film si nutre quasi esclusivamente delle invenzioni della sua testa e di quella del suo fidato sceneggiatore Guillermo Calderon. “Non lo definirei un film su Neruda ma sull’universo nerudiano, o meglio, un film su Neruda scritto da Borges” scherza il regista.

Larrain è consapevole del suo potere, gioca con i cliché latinoamericani, paragona tutto al cibo o al sesso, consiglia addirittura dove andare a mangiare la carbonara a Santiago del Cile. Poi, come il poeta, abbassa la voce quando parla del suo cinema, aspirando ancora più le vocali del suo spagnolo fino a renderlo sibilante come un tango sussurrato con una rosa tra i denti. Cita Truffaut e Mick Jagger, legge Picasso e ricorda il discorso con cui Neruda accettò il Premio Nobel definendo il suo periodo da latitante tra Valparaiso e la Cordigliera delle Ande come due anni che “non so se ho vissuto, ho sognato o ho scritto”.
E si torna immancabilmente dentro i fantasmi di un popolo che ha vissuto pochi anni di danze sfrenate prima di ripiombare nell’incubo della dittatura, dentro i fantasmi del cinema di Pablo LarrainPer Jackie Kennedy e per gli Oscar c’è ancora tempo, per ora si sogna ancora il Cile.

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