Nove lune e mezza, di Michela Andreozzi

Andreozzi offre ad ogni personaggio il riflettore quantomeno di un monologo, o di una scena tutta per sé, in una commedia corale affollata e alla fine innocua nonostante le ambizioni di partenza

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C’è un grande traffico di personaggi, attori e incroci vari nelle prime sequenze dell’esordio di Michela Andreozzi nel lungometraggio, tanto che ti sembra da subito che alcune di queste figure dovranno faticare parecchio per avere il loro istante d’attenzione da parte della mdp, e la stessa autrice-regista non può che ricorrere all’espediente salvavita della voce narrante della protagonista con inserto videolettera-con-sguardo-in-macchina, nuovo must della commedia corale high profile di questi tempi, per tenere salde le fila.
E invece poi Andreozzi si rivela in grado di offrire ad ognuna delle sue creature il riflettore quantomeno di un monologo, o di una scena tutta per sé (Lillo con Perdere l’amore, Claudia Potenza e la confessione in bagno, Pasotti e lo sbrocco al telefono, ecc), come da manuale del cinema italiano brillante-con-acume secondo Max Bruno/Paolo Genovese (compresa l’oramai immancabile ossessione per il medium digitale, skype, youtube, ecc).

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Il punto è che in operazioni simili, di cui non si discute l’appassionata buona fede e un certo slancio collettivo, anche le varie tematiche inequivocabilmente importanti calate sul piatto finiscono per subire lo stesso centellinamento basato sostanzialmente su puri incastri e necessità narrative, di script, alla stregua delle traiettorie sentimentali affrontate dai nostri eroi. La storia di queste due sorelle e delle rispettive gravidanze – una reale, una simulata – con il figlio in arrivo da scambiare tra quella che non vuole figli ma è in perfetta fertilità, e l’altra che li desidera da sempre ma non può averne, diventa il pretesto per discutere, almeno per il tempo di uno sketch, di una litigata, di un dialogo serrato o tenero nelle solite situazioni sospese delle nostre commedie ZTL (terrazze sotto cielo stellato, open space domestici arredati come bistrot, musicisti di strada in momenti sognanti, frammenti on the road e tavolate della domenica), delle problematiche dell’affidamento, dell’utero in affitto, di pregiudizi e ottuse chiusure. O è forse vero il contrario, e le tematiche sono invece il pretesto per i dialoghi divertiti e le gag?

A ben vedere, il pancione di Claudia Gerini non è meno artificiale di quello che il personaggio interpretato dalla stessa Andreozzi finge con un cuscino sotto il vestito: da veterana dei palcoscenici e del piccolo e grande schermo, l’autrice risolve tutto con l’attento lavoro sulle caratterizzazioni e sulle interpretazioni dell’intera compagnia di attori, con molti dei quali ha già diviso in passato i set e i teatri. Il risultato ha un suo ritmo, seppur non sempre bilanciatissimo, ma soffre soprattutto del rivelarsi paradossalmente innocuo pur vantando ambizioni ben più alte in partenza.
Lo svelamento definitivo, forse inconsapevole quanto abissale, è una battuta in bocca al pater familias di gioventù partigiana che si lamenta del figlio neocatecumenale: “non dico che doveva venir su comunista, ma almeno un cinquestelle!”…

Regia: Michela Andreozzi
Interpreti: Claudia Gerini, Giorgio Pasotti, Lillo, Michela Andreozzi, Alessandro Tiberi, Claudia Potenza, Massimiliano Vado, Nunzia Schiano, Stefano Fresi, Nello Mascia, Paola Tiziana Cruciani
Origine: Italia, 2017
Distribuzione: Vision
Durata: 90′

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