"Open Water", di Chris Kentis

La placenta oceanica come unico set di un film in cui la suspence non nasce da cellulari che squillano inattesi: l'orrore non ha sempre bisogno di cause ultraterrene, e il naturale può superare, nella genesi dell'angoscia, il soprannaturale.

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

Sveliamo subito l'enigma: in Open Water non succede quasi niente. E il valore di questo film, molto apprezzato (ovviamente) al Sundance, sta tutto nelle variopinte sfumature di quel quasi. Aver incentrato tutto il senso dei 79 minuti di pellicola sull'attesa di un peggio che stenta ad arrivare, accomuna questo film all'altro campione dell'orrore nel vuoto che è stato The Blair Witch Project: ma il predecessore viene superato da Chris Kentis – indipendente al secondo lungometraggio scritto, diretto e montato -, con questa storia realmente accaduta ad una coppia di appassionati di subacquea – abbandonati per errore nel mezzo dell'oceano durante un'immersione – che diventa pretesto per invitare a riflettere sull'essenza dei legami di coppia, sul rispetto dell'essere umano nei confronti della natura, sul senso di vite trascorse a rincorrere il tempo cercando di sfruttare gli spazi interstiziali concessi dal lavoro. Tutto mentre i due protagonisti galleggiano per oltre un'ora nella placenta oceanica – una suspence davvero letterale -, sorreggendosi l'un l'altro con un dialogo via via meno rassicurante e più disperato, dove un improvviso e straniante apogeo comico – una battuta quasi da sit-com – introduce all'avvicinarsi della tragedia.

Strutturalmente improponibili i confronti con la serie de Lo squalo, Open Water beneficia più di tutto del contrasto tra l'assurdità e la banalità della situazione; contrasto sottolineato in montaggio parallelo da flash su momenti di quotidianità vissuta contemporaneamente dagli "altri" (umani ed animali) sulla terraferma. Come a dire, tenendo a mente gli storici ma anche i recentissimi ricorsi del cinema "di paura" a motivazioni ultraterrene, che nella genesi dell'orrore il naturale può superare il soprannaturale, proprio per la sua intrinseca ordinarietà che non permette ambigue e furbesche scorciatoie interpretative.

Un cenno a parte meritano le elucubrazioni sulla natura dell' "arte di far cinema" suscitate – come già copiosamente dibattuto all'epoca di The Blair Witch Project – da un film di questo tipo: due soli attori, un unico set, una fotografia ampiamente vincolata dalle condizioni della luce naturale, una sceneggiatura ridotta ai minimi termini. Ed il cinema è anche lì.

Titolo originale: Open Water
Regia: Chris Kentis
Sceneggiatura: Chris Kentis
Fotografia: Chris Kentis, Laura Lau
Montaggio: Chris Kentis
Interpreti: Blanchard Ryan (Susan), Daniel Travis (Daniel), Saul Stein (Seth), Estelle Lau (Estelle), Michael E. Williamson (Davis), Christina Zennaro (Linda), Jon Charles (Junior)
Produzione: Laura Lau
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 79'
Origine: USA, 2003

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array