#Oscars2017 – I Am Not Your Negro: dal TIFF agli Academy
In questa edizione degli Oscar anche la categoria dei documentari vede l’intensificarsi della ‘quota nera’ per le nomination: tra i documentari, il lungometraggio ispirato all’autore James Baldwin
Una questione che sta facendo molto discutere in queste settimane, quella delle nomination molto ‘black’ degli Oscar di quest’anno (come sottolineato da Carlo Valeri nel suo articolo), tra l’altro già anticipata nello spirito intenzionale dalla recente edizione dei Golden Globes. Non solo le categorie principali, con qualche novità per le tecniche, ma anche la categoria dei documentari vede l’intensificarsi in quest’edizione della ‘quota nera’ per le candidature: 13th, O.J. – Made in America e I Am Not Your Negro affiancheranno nella competition Fuocoammare e Life, Animated. I Am Not Your Negro, il lungometraggio di Raoul Peck (L’homme sur les quais, Lumumba, Sometimes in April), in particolare, va a ripescare le radici profonde della narrativa americana, nell’esperienza dei neri e delle lotte degli anni Sessanta.
Un’operazione impegnativa, quella di riportare in vita una voce così forte in un’epoca tanto controversa: “Più che la pressione, sentivo sulle mie spalle il peso del senso di responsabilità. Se c’era pressione semmai era quella che Baldwin stesso si auto-infliggeva… per capire come riuscire ad essere fedele alle proprie parole, in un mondo che chiedeva in ogni momento risposte semplici a problemi complessi“, commentava il regista all’American Film Institute, al Toronto International Film Festival 2016 – palcoscenico di presentazione del documentario, durante il quale si è aggiudicato il People’s Choice Award. Il film “mette le parole di Baldwin ‘nelle strade’, una cosa che mi sembrava politicamente urgente. Volevo che Baldwin fosse al centro della scena, senza commenti che lo interpretassero o provassero a indovinare il suo pensiero“.
La questione razziale sembra sempre più esplorata e sdoganata dal cinema odierno, e Raoul Peck, in quanto cineasta haitiano porta in questo progetto la sua esperienza: “Vengo da un Paese nel quale sapevamo dal primo giorno da dove venivamo… e, cosa più importante, da un Paese che ha fatto la storia liberando se stesso dai padroni, sul campo di battaglia, e ottenuto la propria indipendenza nel 1804. Contrariamente alla leggenda, la prima Repubblica totalmente libera delle Americhe non sono stati gli Stati Uniti, ma Haiti. Gli schiavi si sono liberati da soli. E abbiamo pagato un prezzo gravoso per questo.”
Ma non si tratta solo di origini del singolo, il discorso si fa globale e investe la storia stessa del mezzo cinematografico, prosegue il regista: “Come la maggior parte dei bambini del mondo, sono cresciuto anch’io con la mitologia del cinema americano e le sue immagini. A quel tempo veniva definito imperialismo culturale. Come molti bambini del terzo mondo, ho imparato presto come decifrare e decostruire queste immagini. Per dirla con Baldwin ‘Ho scoperto che Gary Cooper sterminava gli indiani, e che gli indiani ero io’. Haitiano o no, il fatto di essere nero è il primo identificatore che le persone riconoscono. Fa parte della tua quotidinaità, della vita stessa, ed è un’esperienza che non si fermerà mai nonostante ci siano reali, fondamentali e strutturali cambiamenti in questo Paese e non solo“.
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