Party like Robbie Williams: Arrivano i Russi, Arrivano i Russi!

Dalle polemiche sul nuovo singolo di Robbie Williams, Party Like a Russian, al mito del villain russo che rivive a Hollywood: l’era di Putin tra mito, cultura, cinema via Depardieu, Seagal, Snowden…

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Russia. In un fastoso palazzo reale un potente uomo in abiti pseudo-generalizi, folleggia “come un oligarca”, con una serie di bambole, tra ballerine fetish e gioiose debuttanti. No, non è The Interview: Russian experience, ma il videoclip del nuovo singolo di Robbie Williams, Party Like a Russian. Il povero Robbie si è visto additare da un media russo all’altro per questo attacco all’immagine della Casa Russia e in particolar modo per quello che è stato visto come un attacco diretto al Presidente Putin. Un leader che, dal 1999 ad oggi ha lavorato sempre alacremente per una costruzione della propria immagine, che è a dir poco pervasiva nel panorama mediatico del proprio Paese.

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putin-judoPutin ha sempre dimostrato nella sua carriera politica di conoscere molto bene, come tanti altri politici – compresi i predecessori sovietici – , i poteri dell’audiovisivo di suggestionare l’immaginario collettivo intorno a figure iconiche, creare simpatie e consensi; tanto da mettersi in gioco e in mostra in prima persona svariate volte, basti pensare al dvd didattico Let’s Learn Judo With Vladimir Putin (2008). Ma non solo, questo non basta. Il disegno di Putin sembra essere quello di voler (ri)costruire la grandezza della Russia, il suo orgoglio nazionale e il suo senso identitario usando le armi di una massiccia opera didattica e culturale: i manuali per le scuole, il Russia Magic World (parco a tema stile Disneyland tutto incentrato sul folklore e le tradizioni russe), la creazione di un canale History nella Moskva TV, e la promozione del film Paniflov’s 28 Men, in uscita il 24 novembre in Russia.
Quest’ultimo progetto, ha scatenato ampie polemiche perché ha la cifra stilistica di una vera e propria operazione di revisionismo storico: il progetto, nato in collaborazione con il Ministero della Cultura kazako, racconta la storia di un manipolo di uomini (per lo più kazaki), la 316ma divisione fucilieri comandata dal generale Paniflov, che il 16 novembre 1941 eroicamente difese la città di Mosca dagli attacchi dei tedeschi, immolandosi per la Patria. Un mito suggestivo che riecheggia nei libri di storia, benché da più parti si sia alzato il dubbio sulla veridicità della vicenda (ne ha fatto le spese il direttore dell’Archivio di Stato Russo Mironenko che, documenti alla mano, aveva affermato che la storia è solo finzione, perdendo qualche mese fa il posto di lavoro).

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Se un tentativo di ripristino di una forza soviet c’è, soprattutto con il moltiplicarsi dei nemici esterni – vedi la situazione Siria o Ucraina –, l’arcinemico storico a stelle e strisce vive più che mai una posizione controversa nei confronti della Russia e del suo leader. C’è Trump, con le caricature e le polemiche che l’amicizia con Putin suscitano, come la trovata del cartellone appeso lo scorso 6 ottobre dal ponte di Manhattan, con il faccione di Vladimir Putin e la scritta “Peacemaker”. C’è una grossa fetta di Hollywood che palesa disapprovazione per la politica dello statista. C’è Steven Seagal, che d’altra parte è legato a Putin da un forte legame di amicizia, e ha promosso la reintroduzione del programma GTO con il Presidente. Poi c’è la questione Edward Snowden e il Datagate, la sua vita da rifugiato in Russia degli ultimi tre anni, e il film che ne ha ricavato Oliver Stone, Snowden (che verrà presentato alla Festa del Cinema di Roma e uscirà nelle sale italiane il 1 dicembre), pubblicizzato e sostenuto dalla politica russa – e il documentario su Putin girato dallo stesso Stone –.

“Questa avventura russa non è un’avventura, è amore”, ha dichiarato recentemente l’altro rifugiato celebre in terra rossa, Gerard Depardieu, passaporto moskovita dal 2013 che non perde occasione per urlare ai quattro venti la sua ammirazione incondizionata per Vladimir Putin in qualunque apparizione pubblica internazionale.

E infine c’è il caro vecchio stereotipo del villain russo nei film d’azione americani, equalizer_russo-cattivoche – finita l’epoca reaganiana e dopo i nostalgici dei primi anni novanta – ultimamente sembra aver ritrovato il proprio smalto. Se la Hollywood mainstream aveva infatti accantonato il cattivo per eccellenza, quello con l’inflessione russa e gli occhi di ghiaccio, diversi film recenti cominciano a riproporlo: Iron Man 2 (2010), A Good Day to Die Hard (2013), Jack Ryan: Shadow Recruit (2014), The Equalizer (2014), The Amazing SpiderMan 2 (2014), e altri. Cosa c’è di diverso stavolta? Ben poco. La verosimiglianza e l’accuratezza non sono il problema primario a Hollywood quando si tratta di dipingere le maschere stereotipate di altre etnie, soprattutto se si tratta dei ruoli negativi (e noi italiani ne sappiamo più che qualcosa). E allora, ben venga se a interpretare un personaggio sovietico è un attore (palesemente) non russo, anche nella cura dell’accento. Tutto ciò non sembra scalfire i destinatari delle parodie filmiche. Anzi, il temuto controlla-quota (come avviene in Cina) dei film statunitensi che si temeva ultimamente – e che avrebbe afflitto non poco il mercato cinematografico d’oltreoceano, che conta parecchio sui biglietto staccati in Russia – non c’è stato. Insomma, nessuna polemica dal Cremlino su quello che è ormai da tempo “IL personaggio russo” elaborato da Hollywood, al contrario delle pesanti critiche piovute su Robbie Williams. Se c’è chi, come l’attore Igor Zhizhikin (che ha lavorato a Hollywood per oltre vent’anni) ritiene che la presenza dei nemici russi sia positiva perché promuove l’immagine della Russia come superpotenza, come “un degno oppositore, e a ragione perché è un paese molto vasto”, c’è da considerare l’aspetto più sotterraneo e potente di questa operazione politica: il potere esorcizzante degli stereotipi. In un’epoca dove il nemico è invisibile, potenzialmente ovunque, e soprattutto poco riconoscibile; nel momento in cui, con la frattura del muro di Berlino, si è frantumata anche la sicurezza che dava quella netta suddivisione della lavagna nelle due colonne di “buoni” e “cattivi”, forse gli stereotipi sono l’unico porto sicuro a cui può approdare Hollywood. Senza il rischio di isterismi collettivi che provocherebbe il tirare troppo spesso in ballo nemici di matrice islamica. Insomma, quel po’ di colore esotico che crea atmosfera, ma risulta irreale o quantomeno innocuo perché ormai inglobato e digerito dalla cultura pop americana. “Conosci il tuo nemico”, recita il detto. E non c’è niente di meglio di un caro vecchio stereotipo culturale per scaldarsi nelle buie e fredde notti di incertezza popolare.

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