"Penultimo paesaggio", di Fabrizio Ferraro


Incontro solitario in una Parigi che avanza senza tregua, bianco e nero spiazzante e parole in una lingua che non appartiene a nessuno. Sinfonia dell'isolamento su musiche di Vivaldi, Bach e Paolo Fresu, Penultimo paesaggio riesce misteriosamente ad evitare la deriva solipsistica dello sperimentalismo, restando un film, nonostante tutto, concreto come i corpi e la luce della Ville Lumière che lo attraversano. Prodotto da Barocas sia, Boudou Film e Rai tre – Fuori Orario

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

 

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

 La realtà è diversa dal sogno!

Sono molto più giovane di quel vecchio

che immaginavo all’età di venticinque anni.

 

Antonio Delfini, Roma, 18 aprile 1956

Prefazione Il ricordo della Brasca

In Paris and in Rome and in places far from home. Cominciava così, con la voce cantilenante di Allison Show, una delle canzoni più oniriche dei Cranes. La vicinanza tra le due città è forse più evidente all’occhio anglosassone o nordico. E però il Penultimo paesaggio di Fabrizio Ferrario la richiama, la fa tornare agli occhi con i movimenti di macchina lenti e acquatici, su ( e sotto ) i ponti, le strade, le insegne della Ville Lumière. Curioso che proprio Parigi sia, e proprio in questi giorni, protagonista opposta, surreale, atemporale e beffardamente romantica del nuovo Woody Allen.

 

--------------------------------------------------------------
THE OTHER SIDE OF GENIUS. IL CINEMA DI ORSON WELLES – LA MONOGRAFIA

--------------------------------------------------------------

Due italiani persi nel paesaggio di Parigi, che non è mai ultimo ma perennemente penultimo perché ormai senza più limiti.

 

Persi ancor di più nel paesaggio vuoto oltre ogni solitudine e sprezzante dell’horror vacui di un appartamento-ufficio. Un uomo e una donna: non ci sono nomi, le parole sono poche, sempre successive agli incontri sessuali. La lingua che usano è l’inglese; non la loro e nemmeno quella del Paese che li ospita. È un altrove ostinatamente negato eppure così potente, che li inghiotte e li fa incontrare grazie ad un appuntamento al buio. Un blind date.

Denarrativizzare il racconto: il documentarista Ferraro fa sua la lezione di Straub&Huillet e di Chantal Akermann, però riesce ad evitare lo sbandamento solipsistico caro a molta sperimentazione. Il film  si presenta, ed è davvero, zarathustrianamente per tutti e per nessuno

Sarà forse merito di Parigi, che non è lo sfondo su cui si stagliano le figurine umane, ma entità in continua espansione, che non ha più confini, che avanza trascurando il fuori e il dentro e le differenze di classe. Così le analisi topografiche illuminano i cerchi concentrici  della città che scorre con il suo acquedotto, travalicando mura e protezioni che non hanno più senso.

Sarà forse per i due ( non ) protagonisti e non professionisti Luciano Levrone e Simona Rossi.

Facile l’accostamento, per la situazione, per l’età di lui e quella di lei, per – ancora e soprattutto – Parigi, con l’ultimo tango di Bertolucci. E però mentre lì la crudezza e la violenza di un romanticismo decadente e tutto sommato narrativo sfociava nel rosso e nel colore acceso della fotografia di Storaro, Ferraro usa un bianco e nero fatto di contrasti e giochi di luce. Nulla è concesso al morboso voyeurismo che aizzò la censura e  tante noie diede a Bertolucci: in Penultimo paesaggio il rapporto tra i due è intuito, spezzato continuamente, e con lentezza. 

Sinfonia della solitudine sulle note di Vivaldi, Bach e Paolo Fresu,  Penultimo paesaggio, con le sue figure tagliate negli interni, oppure lasciate vagare negli esterni – con tutti gli imprevisti del caso: la ragazza che, durante le riprese, entra in campo e chiede cosa ci sia di tanto interessante da riprendere – è la (non)lingua della modernità, la ricerca del contatto attraverso incontri solitari, attraverso il consumo. Inutile parlare della solita incomunicabilità: qui invece si comunica molto, con i corpi, la luce, i rumori, la musica. Con l’acqua, con il flusso dello spazio. Come nella lenta avanzata finale, che lascia alle spalle le parole e le faccende umane e evoca  il viaggio-zoom di Michael Snow e del suo Wavelenght.

Prodotto da Barocas sia, Boudou Film e Rai tre – Fuori Orario.

 

 

Regia: Fabrizio Ferraro

Interpreti: Luciano Levrone, Simona Rossi, Antonin Desprarires, Daniele Di Bonaventura, Paolo Fresu, Ludovico Takeshi Minasi, Dmitry Sinkovsky, Boris Begelman

Distribuzione: Movimento Film
Durata: 114'

 

 

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative