Perfetti sconosciuti, di Paolo Genovese

Una costruzione perfetta e fredda, l’imborghesimento di un cinema di maniera, sterile, dove si apprezzano i dialoghi ben costruiti ma mancano colore e calore

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Metti una sera a cena, il tassista Cosimo (Edoardo Leo), la giovane consorte Bianca (Alba Rohrwacher), il chirurgo Rocco (Marco Giallini) sposato con la psicologa Eva (Kasia Smutniak), il consulente legale Lele, la moglie Carlotta (Valerio Mastandrea e Anna Foglietta) e per finire l’insegnante di educazione fisica disoccupato e un po’ sfigato Peppe (Giuseppe Battiston), che con grande disappunto di tutti si presenta senza la sua nuova fiamma. Una tavola apparecchiata per otto dove l’ottavo componente è lo spettatore, che ascolta i dialoghi delle coppie più o meno in crisi, per quella che fin all’inizio si configura come una piece teatrale, dove la tensione sale man mano che le coppie si stuzzicano a vicenda, o accendono dibattiti attorno a riflessioni o racconti.
I primi minuti di Perfetti sconosciuti scorrono quasi piacevolmente, ritrovandoci a partecipare ad un simposio tra vecchi amici, mentre ci cullano in un botta e risposta che apre una serie di quesiti a volte interessanti, e si sarebbe anche potuto sviluppare così, come un’opera aperta che segue il flusso delle conversazioni dei personaggi lasciandosi andare al percorso ondivago dei dialoghi, finchè Genovese e gli sceneggiatori non giungono all’escamotage del gioco dei telefonini (tutti i componenti della tavola costretti a rispondere in viva voce alle chiamate che ricevono e a leggere ad alta voce i messaggi, per mettersi alla prova a vicenda). Quello che emerge gradualmente è un quotidiano che si poggia su non detti e menzogne, piccoli o grandi tradimenti che mettono radici nelle frustrazioni accumulate. Ma le bugie, la rabbia che si cela sotto la patina di normalità già emergeva dalle allusioni e dalle frecciatine dei primi dialoghi del film. Con il gioco dei cellulari Perfetti Sconosciuti deraglia verso il tunnel senza luce del già visto, seguendo una trama che segue le tappe forzate di una serie di colpi di scena non particolarmente sorprendenti. A non sorprendere, nonostante la bravura e l’impegno degli attori, sono proprio i personaggi, appiattiti ad una serie di tipologie, svuotati di calore e di ogni slancio che possa risultare realmente inaspettato. perfetti-sconosciuti-foto-e-trailer-dell-ultimo-film-di-paolo-genovese-v2-249670
C’è il tassista, il chirurgo sposato con la psicologa, i consulenti legali, legati da un’amicizia decennale che non si capta, e non emerge neanche “un mattatore” attorno al quale far ruotare il film. Se Genovese prova a rifiutare lo stereotipo, tende all’appiattimento, per questo film dove le mura di casa sembrano rinchiudersi sempre più attorno ai personaggi dando la claustrofobica sensazione di portarti per mano di minuto in minuto verso una serie di rivelazioni finali che non dicono nulla se non della bravura degli sceneggiatori nel creare suspance, come in un giallo ben scritto di cui ci si scorda appena concluso. Se sono l’ipocrisia della coppia, gli obblighi imposti dalla famiglia ed accettati anche se vissuti come alieni ad essere messi sotto processo, il risultato è solo parziale, per uno Sliding Doors dove le sovrastrutture crollano insieme alle difese e le illusioni, ma lo fanno sotto il peso di una scrittura soffocante, che non lascia possibilità di reale movimento agli attori, non lascia respiro.

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Si soffre un film che cerca più l’equilibrio algebrico tra attese, sketch comici, dubbi e rivelazioni, piuttosto che l’emergere di qualcosa di più vero, che ci faccia soffrire con gli attori mentre assistiamo a quella che dovrebbe essere la deflagrazione catartica delle loro certezze. Della commedia non resta un tic, un’imperfezione, una cattiveria, un elemento discordante, quanto invece l’idea del meccanismo filmico come un cerchio perfetto in cui tutto torna, tutto si chiude. Un simulacro di realtà costruite su misura, struttura infarcita di moralismi, come la ramanzina sull’omosessualità, o di eccessi, come il doppio carpiato di corna reciproche tra mogli e mariti: se ne vede la finzione, il burattinaio che manovra ogni mossa, nonostante la buona recitazione in particolare di Mastandrea, Giallini e Foglietta. Non c’è più colore né calore, non c’è elemento di disturbo. C’è l’imborghesimento di un cinema di maniera, sterile, dove si apprezzano i dialoghi ben costruiti, ma ogni personaggio pensa parla e agisce praticamente allo stesso modo. Non si entra in una storia troppo fredda, non c’è lo stridore necessario alla scintilla.

 

Regia: Paolo Genovese
Interpreti: Giuseppe Battiston, Anna Foglietta, Marco Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastandrea
Distribuzione: Medusa
Durata: 97′
Origine: Italia 2016

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.38 (8 voti)
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