#PerSo2017 – Cimap e This is my sister, di Giovanni Piperno

Entrambi i documentari del regista e presidente del festival perugino indagano, da diverse angolazioni, il tema del disturbo mentale. L’amore come radice ferma alla stabilità della terra i “matti”

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Cimap, ovvero Cento Italiani Matti a Pechino. Il documentario del regista e presidente del PerSo, Giovanni Piperno è stato proiettato, insieme a This Is My Sister, in questi giorni al PerSo Film Festival. Entrambi i documentari del regista indagano, sebbene da diverse angolazioni, il tema del disturbo mentale.
Girato nel 2006 This Is My Sister segue la vita di Jane che una volta scoperta la sieropositività sua e del figlio viene aiutata dalla sorella Martha a superare la depressione conseguente. Girato tempo dopo la vicenda della scoperta, questo documentario (commissionato da AMREF) è di fatto una ricostruzione che, oltre a mettere in luce con positività il lavoro di medici e operatori del posto, racconta anche la depressione di una donna. Il regista in sala ha spiegato che all’epoca del film le strutture di informazione e di aiuto per l’AIDS erano già avanzate, mentre per il trattamento della depressione era avvolto nell’oscurità.

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Se la depressione è una parte della storia di This Is My Sister in Cimap è, insieme alle nevrosi e psicosi più disparate, la protagonista assoluta. Cimap infatti racconta il viaggio lungo la Transiberiana che due associazioni (ANPIS e Le Parole Ritrovate, all’epoca all’avanguardia per il trattamento dei disturbi mentali) hanno compiuto partendo da Venezia nell’agosto del 2007 con tappa finale a Pechino. Piperno segue operatori e utenti per tutto il tempo sul treno che li porterà in Cina, focalizzandosi su alcuni pazienti, ma anche sulle molte attività che gli operatori organizzano per loro ogni giorno, dalla cucina alla ginnastica nel corridoio vicino alle cuccette. La vicinanza, imposta dal treno, è un fatto che si rivela fondamentale perchè prima di dover prendere una qualsiasi medicina, gli utenti sono costretti a viaggiare uno accanto all’altro. Le attività portate avanti con cura dagli operatori, i momenti di discussione e di analisi collettiva, le riprese a Jacopo, affetto da autismo e accudito dai genitori…tutto racchiuso in una parola che affiora in bocca ad un operatore: la troppo sfruttata parola amore. Nel

Perugiacaso del disturbo mentale, nevrotico o psicotico che sia, è una delle più importanti di tutte, ma solo se la si pensa nella sua estensione più grande: l’amore come radice che ferma alla stabilità della terra i “matti”, la cui testa tende a stare il più delle volte nelle nuvole, soprattutto fra quelle più nere.

E l’amore di Piperno, fra tutti gli utenti, sembra essere il cinquantenne napoletano Vincenzo. Vincenzo è il disturbatore, colui che mette in costante dubbio il viaggio e la malattia, ma è anche colui che vede le cose in modo più semplice: se non esistesse il malato che lavoro farebbe l’operatore? esclama ad un certo punto. Questo uno dei meriti di Cimap, ossia mostrare la lontananza del paziente con la realtà ma anche l’estrema aderenza; il fatto che se lo si guarda da una diversa angolazione il “matto” è saggio quanto il normale (se non di più), e quindi meritevole di tutte le cure. Ma in fin dei conti ciò che più rimane impresso è che Cimap è un film inevitabilmente malinconico, i cui protagonisti abitano quello strano luogo ai lati della mondo. La normalità è un equilibrio sopra la follia dice Vincenzo a mezza bocca. Su questa frase ci si potrebbe ragionare in eterno, come se la follia fosse la base e la normalità riposta un gradino più su, inesorabilmente irraggiungibile.

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