PESARO 2003 – John Sayles, Ermanno Olmi e il giovane cinema indie francese

Apre i battenti la 39a edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, diretta da Giovanni Spagnoletti. La prima pellicola del pomeriggio inaugura la sezione "Francia fiction": Marie et le loup di Eve Heinrich. A seguire John Sayles e il suo “The Return of the Secaucus 7”

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Ci si guarda negli occhi e si aspetta che le porte del teatro sperimentale si aprano e facciano entrare critici e spettatori boccheggianti e sudaticci nel refrigerio meritato dell'aria condizionata. Finalmente si ragiona, sono le 14:50 e siamo dentro. Scendiamo le scale per ritrovarci nella platea che lo scorso anno avevamo lasciata ancora traboccante dei colori del cinema spagnolo. Facciamo appena in tempo a sceglierci un posto (le primissime file sono sempre le meno rumorose), darci un'occhiata purtroppo senza ritrovare là, nella solita terza fila sulla destra, gli occhietti gentili di Alberto Farassino, al quale è dedicato il festival di quest'anno insieme a Jean-Claude Biette, e il film ha inizio. Sono le 15 e puntuale come un Olaf Möller (l'inesauribile corrispondente tedesco del festival) e la 39a edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, diretta da Giovanni Spagnoletti, apre i battenti. La prima pellicola del pomeriggio inaugura la sezione "Francia fiction": Marie et le loup di Eve Heinrich. Come dice il direttore della Mostra la cinematografia francese non ha certo bisogno d'essere scoperta o riscoperta, ma oltre ai soliti nomi di culto e alle produzioni mainstream, sotto, si agita un nuovo tessuto fatto di recenti maglie registiche. Giovani autori, depositari di un fenomeno "complesso e polimorfo", che la kermesse pesarese intende spingere al di qua dei suoi confini. Dalla fiction low budget al documentario, tutto il fenomeno dello sperimentalismo contemporaneo dell'ultimo quinquennio transalpino racchiuso nella bellezza di una cinquantina di opere. Ma torniamo al film d'esordio della Mostra della regista Heinrich. Marie et le loup è la storia di una trentacinquenne (la Marie del titolo) cameriera di una birreria sperduta in un paesino sperduto della campagna francese. Le occasioni di svago sono esigue e basta la casa degli spiriti di un Luna Park per sognare e desiderare la fatalità di una storia ambigua, per mostrare un corpo, seppur tumido e vizzo, alla trasgressione di un uomo che non parla ma sa stare al gioco; un lupo (quello del titolo) che sembra essere l'esatto speculare del poliziotto-compagno di Marie. Si parla dunque di passioni ambigue e torbidi ossessioni, della consueta provincia fucina di orrori e sostanzialmente di espressioni di un vivere interrotte nel loro coito. L'altro evento importante che segue il film francese è la retrospettiva del regista cormaniano indipendente John Sayles. Regista e "umanista americano", come lo chiama Davide Ferrario, idealista della nostalgia politica o "del mito al presente singolare" come scrive Giona A. Nazzaro, Sayles è autore di un cinema, pur nel suo distacco al dipanarsi contemporaneo, che vale la pena guardare ancora con interesse. Retrospettiva sul cineasta indipendente americano che inizia con l'opera prima Return of the Secaucus 7, film che sembra precedere di tre anni la malinconia de Il grande freddo. Return of Secaucus 7, allora clamoroso successo in patria, poggia la sua scrittura (perché solo di scrittura si parla) sul riflusso delle lotte anni Settanta, sul nascente femminismo, sulla crisi del "movimento" americano. Della stessa pasta è anche il suo secondo film presentato qualche ora dopo, LianaUn amore diverso. Incentrato anch'esso sul movimento femminista, riflessione sull'enorme mole di matrimoni falliti in quel periodo (primi anni ottanta), e scoperta in progress (anche da parte dello stesso regista) della comunità gay femminile, della risposta alla stessa da parte della società americana. Altro appuntamento e ciliegina sulla torta del festival, anche quest'anno, sono le proiezioni open air in piazza del popolo. In questa serata d'apertura una marea di gente si è infatti ammonticchiata per assistere al film neozelandese Whale rider (anteprima italiana) della regista Niki Caro. Film con venature epiche sulle tradizioni maori e sulle discendenze e leadership della tribù Paikea.

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Dall'altra parte (al cinema Astra), è partito l'altro importante evento, l'omaggio e retrospettiva completa del regista Ermanno Olmi. Completa di documentari, lungometraggi, cortometraggi e film per la televisione sottostanti ad una ipotetica classificazione stilistica che, Adriano Aprà, tenta di portare a termine nella sua introduzione al quaderno di documentazione olmiana curato da Laura Buffoni e Stefania Carpiceci. Gli altri importanti eventi da segnalare e da non trascurare sono l'omaggio (il primo dedicatogli) al grande sperimentatore polacco Zbigiew Rybczynski (premio Oscar nel 1982 per Tango, tra l'altro); l'interessante retrospettiva di Flavia Mastrella e Antonio Rezza, due esseri venuti veramente da un altro mondo, "due marziani da Nettuno, località balneare poco a sud di Roma", come dice Paolo D'Agostini; e poi i film della scuola di Fresnoy diretta dal bravo Alain Fleischer (al quale il festival rese omaggio l'anno scorso con un'ampia retrospettiva); sino ad arrivare alla sezione "Nuove Proposte Video" nella quale troviamo con piacere il fanese Mauro Santini (qui a Pesaro di casa) col suo bel Da lontano (lavoro che "prosegue e forse chiude un percorso sul viaggio e la memoria iniziato con Di ritorno e proseguito poi con Dietro i vetri"), recente vincitore del premio "Spazio Italia" all'ultimo Torino Film Festival.

 

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