#PesaroFF52 – Nuovi orizzonti

155 i film proiettati e 600 accreditati è il bilancio di Pesaro edizione 52, festival sempre più rivolto alla lungimirante ricerca. Il nostro bilancio finale

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Come è d’obbligo la serata finale ha svelato il film vincitore della sezione del concorso. Non ci potevano quasi essere dubbi che il bel film della Léa Fehner, Les ogres dovesse affermarsi come migliore film. Sicuramente era il migliore tra quelli che abbiamo visto, escludendo il film cinese sfuggito alla visione per ragioni logistiche. Detto questo bisogna anche dire che forse proprio la sezione del concorso è quella che, almeno nel recente passato, è meno rapportabile alla dimensione pesarese lodevolmente sbilanciata su un terreno di ricerca e di scoperta il che comprende la sperimentazione e lo sguardo allargato sulle molteplici sfaccettature dell’universo cinema. Prendiamo quest’anno, ad esempio, per molti è stato l’anno della scoperta del geniale Virgilio Villoresi con le sue raffinate animazioni stop-motion, oppure l’anno della scoperta, almeno per gran parte del pubblico italiano, della composita e complessa poetica di Tariq Teguia, o della trasversalità provocatoria che può ottenersi con il cinema del porno. Pesaro quindi assolve a questo compito con sapienza, tutto sommato con il coraggio sufficiente a diventare occasione di incontro per sperimentare l’altro lato del cinema, le altre facce di questa deriva in espansione di cui finora è stato luogo essenziale di manifestazione dei fenomeni. In questo senso è positivo che sia stata istituita la sezione Satellite sotto la cura di Mauro Inland, Tariq TeguiaSantini, Gianmarco Torri, Anthony Ettorre e Annamaria Licciardello che ospita il cinema più sperimentale, e invisibile e la saletta Pasolini è diventata ormai una sistemazione insufficiente ad accogliere le decine di appassionati e perché no, curiosi che aprono i propri occhi sulle proiezioni di questo piccolo mondo alieno così distante dal glamour scintillante e perfino da ogni espressione da cinema d’essay o passione da snobistico cinephile. Abbiamo l’impressione che questo crinale, del cinema indipendente, così potentemente personale e quindi così necessario (pur con le sue frequenti esagerazioni autoriali) appartenga geneticamente alla mostra pesarese quasi a proprio agio nella dimensione della sperimentazione e sempre più luogo deputato agli incontri e alle riflessioni in tema. Alla stessa istanza, che spinge all’osservazione dei fenomeni in chiave di interpretazione del mistero del cinema (secondo le condivisibili parole di un interlocutore al dibattito sul porno [al femminile?]), appartengono le chiacchierate informali, quasi amichevoli, sicuramente libere delle mattinate in Pescheria che, se non fosse per il caldo del luogo chiuso da belle e trasparenti ma sigillanti vetrate, sono occasioni preziose per imparare a percorrere una strada di riflessione per i più giovani e affinare le armi della dialettica per quelli che hanno già un’esperienza.
Che quindi Pesaro, secondo la definizione di Pasolini, così cara agli organizzatori, “sia un luogo dello spirito” e come tale rivolto alla meditazione, lo testimonia sicuramente il nome che il festival si è dato fin dalla sua nascita se la dicitura “nuovo cinema” ha un significato ancora oggi. Se un tempo, infatti, il nuovo cinema era quello iraniano, piuttosto che quello di qualche remoto Paese asiatico, oggi il nuovo del cinema va ricercato altrove e

The gulls, Ella Manžeevasicuramente non nella stantia spettacolarità di un 3D solo utile alla commercializzazione del prodotto, ma piuttosto nei linguaggi che il web richiede, nelle infinite possibilità che questi mezzi ci offrono per un focus sulla realtà e sulla sua possibile trasfigurazione dentro l’immagine cinematografica. Pesaro offre questo spazio, anche grazie alla lungimiranza giovanile dei suoi numi tutelari come l’onnipresente Adriano Aprà e il sempre attento Bruno Torri. Pesaro quindi si propone come luogo di scambio d esperienze, come tavolo intorno al quale inventare soluzioni e dare spazio alle voci e la direzione di Armocida sembra accelerare in questa direzione. In questa ottica, nota forse marginale, ma non trascurabile, diventano piacevoli le soste in Pescheria per il pranzo che permettono un commistione e una condivisione di esperienze e di opinioni.
Allargare l’orizzonte è anche ritornare al cinema russo, altro caposaldo del festival che sta divenendo lentamente tradizione affermata. Forse quest’anno la selezione non ha particolarmente brillato, ma l’organizzazione del festival crediamo debba mediare ogni scelta con il dipartimento del ministero russo che si occupa della diffusione delle opere delle registe in cartellone.
Rimandando ancora a brevissimo l’analisi di qualche evento di particolare rilievo, riteniamo che il bilancio possa dirsi positivo se sono stati 155 i film proiettati e 600 accreditati al Festival secondo i numeri resi noti nella serata finale. Aspettiamo ancora le altre sorprese e novità di cui parlare per la prossima edizione.

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