Peter Tscherkassky: breve trattato sulle immagini mobili

TscherkasskyIl cineasta austriaco è al centro dell'evento organizzato dalla Cineteca di Bologna e dal Dipartimento Musica e Spettacolo (Centro la Soffitta). Due serate, il 5 e il 6 maggio dalle ore 20 al cinema Lumière

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TscherkasskyLa carriera dell’austriaco Peter Tscherkassky, cineasta, che molti si apprestano a definire sperimentale, giusto per distinguerlo dalle produzioni correnti, per schematizzare e rinchiudere in un recinto le sue preziose intuizioni, somiglia a qualcosa di mobile, in perenne evoluzione. Lo splendore del suo sguardo acuto e critico, portato sulla materia cinematografica, si unisce ad una virtuosa quanto felice padronanza della tecnica cinematografica. Il film – ogni film – è ciò che passa tra gli ingranaggi di un proiettore. Conoscere il funzionamento di questi ingranaggi, di queste bielle, di queste valvole è il primo compito di un film-maker. E i suoi film? Come segnala pure Alexander Horwath, cinefilo nonché direttore del Filmmuseum di Vienna, potremmo suddividere la sua filmografia in almeno tre periodi: il primo ci mostra il cineasta studiare e sperimentare i meccanismi della macchina da presa, con un piglio documentaristico che non disdegna una dimensione autobiografica. Il secondo lo coglie immerso in un’analisi serrata del regime dello sguardo, colto nella sua dimensione psicanalitica. Si tratta di un’accurata anamnesi del dispositivo cinematografico, cui una messa in crisi della retorica hollywoodiana non è estranea. La terza fase è quella che vede Tscherkassky alle prese con materiale ritrovato e rielaborato: metri di pellicola già filmata, found footage.

Questa fase definisce la sua gloriosa “Trilogia in Cinemascope”. Qui a Bologna Tscherkassky ha scelto di presentare due programmi che riassumono perfettamente la sua filmografia. Magnifici excursus voyeuristici che virano in furiosa astrattezza (Urlaubsfilm – 1983); Liebesfilm (1982) ironica divagazione su un bacio (clichè hollywoodiano) perennemente differito e complicato dalla velocità variabile di scorrimento della pellicola. Oppure Shot-Countershot (1987), brevissima riflessione che entra nel cuore del campo-controcampo, figura portata al suo massimo splendore da Hollywood. Fino ad arrivare a Outer Space (1999), basato su  footage di un horror degli anni ’80 (The Entity, di Sidney J. Furie). Qui, il lavoro di rifilmaggio di Tscherkassky, il suo lavoro sui dettagli del fotogramma in Cinemascope, l’esposizione delle perforazioni, le sovrimpressioni, l’effetto flicker, trasformano la sequenza recitata da una giovanissima Barbara Hershey in un delirio lucido dove ogni cosa esplode in un delirio pellicolare. Outer Space è forse il film più premiato ai festival. Un capolavoro. Ci piace ricordare Happy End (1996) magnifica dissezione di rituali festivi: quelli di una coppia a tavola, senza dimenticare il suo ultimo film, realizzato è ancora in Cinemascope (Instructions for a Light and Sound Machine – 2005). Qui lo spaghetti western è esposto nella sua dimensione più epica, trasformandosi in una tragedia greca: un mosaico di dettagli isolati, oppure compressi nello spazio vertiginoso della sovrimpressione. Lo sguardo, i corpi e il loro scorrimento, la luce, la materia: i film di Peter Tscherkassky sono una costante riflessione sulle possibilità del cinema. Un breve trattato sulle immagini mobili.

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