Piccola patria. Incontro con Alessandro Rossetto

Il regista ha presentato il suo primo lavoro di finzione, già nella sezione Orizzonti a Venezia 70, con il quale cerca di descrivere la provincia del Nordest in preda alla crisi economica e un'età, quella adolescenziale, alla deriva e desidorosa di fuggire, nella consapevolezza che il crinale tra cinema di realtà e cinema di finzione non è mai stato, per lui, importante.

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Questa mattina presso il Cinema Barberini di Roma il regista Alessandro Rossetto ha presentato il suo primo lungometraggio di finzione, Piccola patria, già nella sezione Orizzonti a Venezia 70, nella selezione ufficiale del International Film Festival di Rotterdam, e da domenica 6 aprile in Concorso al Festival di Copenaghen. Una carriera votata al documentario, quella di Rossetto, con particolare attenzione alle tematiche della migrazione e integrazione dall' episodio Raul per l'Orchestra di Piazza Vittorio: I diari del Ritorno alla Valentina Postika in attesa di partire, e ancora un occhio di riguardo per i lavori che si vanno perdendo nella sua terra con Chiusura. Accompagnato dagli attori Maria Roveran, Roberta Soller, Vladimir Doda, Diego Ribon e Lucia Mascino.

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Cosa l'ha portata a passare dal genere documentaristico alla finzione?

Alessandro Rossetto: Ho una formazione per cui il crinale tra i due non è mai stato importante; esistono Fellini, Tarkovsky ma anche Victor Kossakovsky. A questo si aggiunge anche la mia esperienza da attore. Ho portato gli strumenti del cinema di realtà in quello di finzione, come il ritmo delle riprese, lo sguardo sui corpi e gli sguardi. Sono stato ogni giorno in ascolto dell'energia che emanava il set e anche per questo ho scelto attori che potessero emanarme costantemente. La realtà nella finzione ha significato improvvisazione guidata.

 

 

Come avete lavorato rispetto l'improvvisazione guidata?

Alessandro Rossetto: Nicoletta Maragno (Itala Menon) mi ha aiutato nel coaching volto all'improvvisazione nel quale abbiamo previsto che gli attori passassero molto tempo insieme, perlopiù in coppie, dividendosi dello spazio, per conoscersi meglio. Dopo la loro permanenza nei luoghi ho cercato di cogliere pezzi della loro vita che ho riproposto nel film, dagli abiti agli oggetti. Per altri la sceneggiatura c'era ed era blindata.

Lucia Mascino: Il set era in uno stato confusionale, ci si può non fidare del caos, ogni giorno cambia qualcosa, ma in questi casi o ti butti o ti chiudi. Io mi sono buttata perchè Alessandro è un mio amico per gli altri credo abbia fatto una magia.

Diego Ribon: Quando s'improvvisa emerge in genere il terrore negli occhi dell'attore. Alessandro è bravo a far scorrere la creatività da quel momento di terrore in poi

Roberta Da Soller: Alessandro ha cavalcato il terrore, non è importante quello che si dice o si fa quanto prendere spunto dalle situazioni che si creano

Maria Roveran: La parola non era scritta doveva passare per la pancia attraverso le sensazioni. Alessandro sapeva perfettamente cosa volerci far dire ma dovevamo buttarci senza pensare al bel risultato, alla costruzione

 

 

Perchè il proverbiale attaccamento al lavoro in queste zone d'Italia crea più tensioni che altrove?

Alessandro Rossetto: Il Veneto ha avuto la più alta percentuale di emigrati fino agli anni '70, da dieci anni a questa parte è la regione che più assorbe immigrati, considerando che di base i nostri paesi sono poco densamente popolati è un dato statistico importante. La crisi ha colpito duramente una zona che è stata in passato altamente industrializzata, ora non rimangono che distese di scheletrici capannoni e l'etica del lavoro stringente soffre.

 

 

 

Può spiegare perchè hai inserito degli elementi inerenti le spinte indipendentiste?

Alessandro Rossetto: Non è facile astrarsi dal contingente ma posso dire che chi abita il Nordest sa che questi anni sono caratterizzati da pulsioni che esprimono una cultura leghistoide – per quanto il popolo leghista appaia oggi diviso — da cui non si può prescindere.

 

 

Perchè hai costruito la storia incentrandola sul rapporto tra due adolescenti e sull'opposizione con il mondo degli adulti? E il titolo da dove deriva?

Alessandro Rossetto: Ho deciso di chiamare il film Piccola patria quando ho trovato il borgo in cui ambientare tutte le scene. Era un km quadrato di 'Texas' che doveva diventare luogo dell'anima dei protagonisti. L'adolescenza come età è stata selezionata perchè con gli altri sceneggiatori siamo partiti dalla tematica della mercificazione del corpo

 

Maria quali sono gli spunti cui ti sei ispirata per comporre le canzoni di Piccola patria?

Maria Roveran: E' stato un lavoro importante di ricerca sul dialetto veneto. Mi sono ispirata ai due testi popolari presenti nel film L'Aqua ze morta e Joska la rossa di Bepi De Marzi. Ho composto durante la costruzione del mio personaggio Indrio Soea e Va, poi alla mostra di Venezia ho conosciuto gli Stag e ora portiamo per l'Italia Piccola Patria tour

 

 

 

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