Pitch Black
Luce. Viraggi di colori, vibrazioni cromatiche. Chiaroscuri. Un pianeta abbandonato (un gigantesco asteroide?) è rischiarato da tre soli, frequenze luminose di natura diversa scoprono a nudo distese e nervature di ossa, sabbia, rovine e detriti. Architettoniche di morte.
Luce eterna su paesaggi immobili. Senza notte, senza tempo.
Poi buio improvviso: tripla eclissi di sole. Oscurità quasi inaspettata. Con le tenebre (o nelle tenebre) finalmente il movimento, veloce pulsare di sangue e carne. Una forma di vita distruttrice e parassita muove i suoi passi. Vita che restituisce, sputa, vomita frammenti di morte umana illuminati da interminabili giornate. Giorno e notte, tempo e movimento: un gruppo di naufraghi terrestri lotta per la sopravvivenza su brandelli di terra desolata, è prelibata selvaggina in una spietata caccia all'uomo. Cerca disperatamente una via di fuga. Unica difesa: gli occhi notturni, chirurgicamente "modificati", di un pericoloso detenuto trasportato a bordo della navicella precipitata e raggi di luce capaci di squarciare il velo nero. Bruciare la carne del predatore alieno.
Essenziale come un film di John Carpenter, ritmato da rapidi movimenti di macchina, attraversato da polifonici echi cinematografici (scenari e cromatismi science – fiction anni '50, variazioni e assoli su partiture narrative già magistralmente eseguite da Ridley Scott, James Cameron, Barry Levinson…), Pitch Black di David Twohy è racconto fantascientifico, patch – work di forme e geometrie. Non solo. Pitch Black è soprattutto occhi che guardano il buio, bruciano e annientano la carne. Marchiano a fuoco il corpo dell'altro. E' raggiera di luce gialla che riscalda uno schermo bianco: pupille, corpi, organi alieni. Pelle segnata, pellicola, sangue. Proiezioni di morte. Cinema allo stato puro. Fotogrammi dove "si parla dello spazio, del linguaggio e della morte. Si parla dello sguardo" .