Pixels, di Chris Columbus

Seppur meno cialtrone e distruttivo degli ultimi film di Sandler, Pixels è quasi il suo manifesto definitivo. Il mondo salvato dagli idioti

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Forse è solo un caso. Del resto qui, come spesso accade quando c’è di mezzo Adam Sandler, non sembra che si vada troppo per il sottile. Ma il fatto che proprio Donkey Kong sia il gioco decisivo ha un valore simbolico non indifferente. Ben al di là delle pure e semplici implicazioni narrative, con la rivincita di Brenner impegnato a superare il “suo” trauma adolescenziale, dopo la sconfitta al campionato del mondo 1982 di videogame arcade. Il punto è l’eroe di Donkey Kong è il mitico Jumpman, quello che poi sarebbe passato alla storia come Mario, il grande baffone con cappello e salopette. Nient’altro che un carpentiere (poi idraulico, per una sorta di scalata sociale all’interno del mondo operaio), impegnato a salvare la fidanzata Pauline e a incarnare l’eroismo quotidiano della working class. Una chiara scelta “proletaria” nella definizione dello statuto eroico. Con implicita una promessa di riscatto. Un riposizionamento più che una rivoluzione, forse. Ma comunque non siamo troppo lontani dall’iperbole avventurosa di Brenner. Un semplice installatore di videogiochi e apparecchiature elettroniche, il genio fallito, il nerd perfetto e sfigato, alla testa di un gruppo di soggetti improbabili, il paranoico Ludlow Lamonsoff e l’infido “Fire Blaster” Eddie Plant. Saranno loro a guidare la resistenza all’invasione aliena, in barba agli eserciti, ai generali, agli alti funzionari, agli strateghi della guerra totale. Il mondo salvato dagli idioti. E, quindi, implicitamente, un mondo messo a soqquadro, beffardamente alla rovescia rispetto ai dettami maggioritari di una meritocrazia ancor più idiota.

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pixels3È una delle costanti del demenziale, dai tempi delle sortite distruttive di Jake ed Elwood Blues (Brothers), che nella loro “missione per conto di Dio” facevano impazzire gli ingranaggi di mezz’America. Ma negli ultimi anni questa rivincita degli idioti ha la valenza di una dichiarazione programmatica e politica: Todd Phillips a Seth Rogen ed Evan Goldberg, passando per i Farrelly, attraverso le infinite diramazioni della Apatow Factory… Senza voler stare a contare gli esempi ad est, da Kitano a Hong Kong. La commedia riscopre con lucidità disarmante la propria vocazione, quell’essere la terra di confine del mainstream, il luogo di ripensamento dei suoi valori dominanti, il corto circuito ingestibile degli schemi di funzionamento. Quanto in questo assalto armato conta l’esperienza di Adam Sandler? Probabilmente è centrale, come andiamo ripetendo da anni, a ogni nuova sortita, anche la più sgangherata e “imperdonabile”.

 

Pixels (1)Certo in Pixels la mano di Chris Columbus si fa sentire. Fino al suggello imprevisto e divertito di una firma autocitazionista, con Brenner che dice “Gandalf ed Harry Potter allo stesso tavolo”. E perciò questo, tra i titoli dell’ultimo periodo sandleriano, è certamente il film più compatto ed esportabile, lontano dalla cialtroneria distruttiva di Jack e Jill, Indovina perché ti odio, The Cobbler. Dallo stesso indifferente cazzeggio di Un week-end da bamboccioni. Solo per restare agli ultimi tempi, siamo più dalle parti di Coraci che di Dennis Dugan, complice di vituperio autogestito. Un’avventura per tutta la famiglia, come direbbe un’ottima guida Tv, che trae spunto da un corto di successo di alcuni fa, firmato da Patrick Jean e che cavalca la nostalgia degli anni ’80, dell’epoca pionieristica dell’informatica “a casa”, delle sale giochi e degli arcade games. Galaga, Centipede, Space Invaders, Pac Man, Donkey Kong: lo scontro si sposta sul piano di un immaginario “che fu” adolescenziale, ma che ormai ha il sapore di cuoio e del vintage più spinto. Eppure Sandler è in quest’immaginario che si muove da sempre, specialmente negli ultimi anni, popolati dai che cavolo stai dicendo Willis, da icone sexy dei tempi andati, dagli Shaquille O’Neal e i John McEnroe, da Vanilla Ice a Martha Stewart. In una cavalcata che arriva fino ai giorni nostri, fino ai muscoli divini di Serena Williams. In questo calderone finisce tutto, un po’ come accade per Seth MacFarlane. Eppur tutto è sfiorato da un senso di tenerezza che mozza il fiato, ben oltre l’apparente indifferenza goliardica, il sorriso crudele, la battuta greve. Se davvero Sandler è il peggior attore del mondo, lo è perché il cinema non è un puro e semplice lavoro. Tanto meno un’arte. È una famiglia da ricompattare, da tener in vita costi quel costi, da difendere anche in tutte le sue esagerazioni e insensatezze, i suoi sprechi colossali e gli artifici più beceri.

 

pixels 2Sandler fa cinema da home video, esattamente come fosse un gioco da Atari, da Commodore o da Nintendo, da usare a piacimento, nelle mattinate con gli amici stravaccati in poltrona o nelle sere in famiglia. E in questo senso, Pixels sembra davvero il suo manifesto definitivo.
Perché da un lato sembra rievocare certo cinema che fu, quello di War Games e de La donna esplosiva, ma va oltre. Mostra la chiarissima percezione di una pixelizzazione universale, ormai compiuta nel passaggio dalla bidimensionalità arcade al trionfo del 3D. Ormai non riguarda più solo il momento del gioco o del calcolo progettuale. L’invasione riguarda tutto, il lavoro, i rapporti umani, il nostro stesso stare al mondo. E allora bisognerebbe ritornare a perdere tempo, ai contatti di carne e ai bug di sistema, a studiare gli schemi e poi a fallirli. Bisognerebbe continuare nel cazzeggio, nei pomeriggi buttati a giocare, nei week end da bamboccioni… Bisognerebbe tornare ad ubriacarsi e a maledire (cioè a dir male) degli dei e degli uomini. Con passione e amore, con gli amici, gli amanti e… Perché, alla fine, prima o poi, saranno i perditempo, questi maledetti idioti, a salvare la terra da quella macchina che lo sta divorando.

 

Titolo originale: Id.

Regia: Chris Columbus

Interpreti: Adam Sandler, Kevin James, Michelle Monaghan, Josh Gad, Peter Dinklage, Matt Lintz, Brian Cox, Dan Aykroyd

Distribuzione: Warner Bros. 

Origine: USA, 2015

Durata: 105′

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