Poseidon, di Wolfgang Petersen

Un rifacimento che aderisce perfettamente al genere catastrofico, ma lo svuota di ogni velleità sociologica per concentrarsi su una struttura schematica: una scelta che lo pone in opposizione al modello di Neame, nonostante la regia garantisca spettacolo.

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Sembra giungere quasi fuori tempo massimo questo nuovo catastrofico hollywoodiano, costretto com’è in un periodo consono soprattutto alle grandi saghe fantasy, che hanno introdotto nel classico racconto americano una tendenza a rivolgimenti improvvisi, cambiamenti di fronte, trionfo dell’assurdo, inteso come impossibile che diventa plausibile. Per questo fa uno strano effetto trovarsi dinanzi a un film molto preciso nel suo aderire a un genere. E nel suo cercare di evocare i fantasmi del presente con impeto quasi didascalico: il riferimento non è soltanto alla tragedia dello tsunami che ha colpito l’Asia poco più di un anno fa, ma anche all’11 settembre evocato attraverso la figura del protagonista che viene da New York e che nel curriculum ha una lunga militanza come eroico pompiere. Ma ci si ferma qui, perché poi c’è da onorare un classico. E che classico: L’avventura del Poseidon di Ronald Neame (1972) si è nel tempo guadagnato la palma di capolavoro del disaster movie, pur essendo a tutti gli effetti un ibrido: la componente spettacolare era infatti molto inferiore alla media, perché diluita in una storia che lasciava ampio spazio alle caratterizzazioni dei personaggi (su tutti spiccava il prete “realista” interpretato da un magnifico Gene Hackman). In tal senso i conflitti tra i protagonisti, quasi più importanti dei problemi provocati dal rovesciamento della nave, riflettevano bene le tensioni di una società dove i ruoli erano in corso di nuova definizione, dove la disillusione e la consapevolezza di non potersi più affidare alla Provvidenza diventavano sempre più una chiave di volta per affrontare il presente.

Ecco, in barba ai sopra citati riferimenti alla realtà contemporanea, il remake appare invece scevro di qualsiasi velleità “sociologica”, concentrato com’è sul semplice meccanismo spettacolare. Non a caso il ritmo è molto più spedito, le trappole che si devono superare sono numerose, le esagerazioni spettacolari si sprecano e quanto ai possibili scavi nella psicologia dei personaggi si rimane parecchio in superficie, complici anche dei dialoghi particolarmente insulsi: il rapporto padre/figlia tra Robert (Kurt Russel) e Jennifer (Emmy Rossum) è tratteggiato con insipienza da manuale e anche la storia d’amore fra la stessa Jennifer e Christian (Mike Vogel) sarebbe stata da depennare spietatamente dalla sceneggiatura. Così com’è il nuovo Poseidon è solamente un film schematico, dalla struttura simile a un videogame, dove bisogna sempre superare una nuova insidia. Qualcosa di buono comunque c’è: un cast interessante, con in testa il nostro amato Kurt Russell, e la mano di Wolfgang Petersen, che riesce a modulare bene il rapporto fra gli spazi invasi dall’acqua e le emozioni dei personaggi, i quali trasudano fatica, frustrazione e rabbia. Chi è claustrofobico o non sa nuotare si astenga dalla visione, oppure la affronti come spettacolare esperienza catartica. Tutti gli altri corrano pure a rivedersi l’eccellente prototipo di Neame.

Titolo originale: id.

Regia: Wolfgang Petersen

Interpreti: Kurt Russell, Richard Dreyfuss, Emmy Rossum, Josh Lucas

Distribuzione: Warner Bros

Durata: 100′

Origine: Usa, 2006

3.2
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