"Profumo – Storia di un assassino", di Tom Tykwer

Tra i più talentuosi dei registi tedeschi, Tykwer costruisce un mondo, che a volte pare un laboratorio asettico, "spiegazzato": spazio sferico, finito, ma senza bordi e illimitato, così che ogni raggio luminoso, ogni cromatismo sembra produrre un "miraggio" olfattivo. Irrompe il naso sullo schermo per stringere un patto sacro tra luce e ombra.

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Confrontarsi con romanzi di grande successo (in alcuni Paesi ha superato le vendite de Il Codice Da Vinci), quale l'omonimo da cui è tratto il film, scritto dallo scrittore Patrick Suskind, e perdersi tra i sensi fisicamente più lontani al cinema, come l'olfatto, è già opera coraggiosa e forse anche pericolosamente inutile. Bisogna sperare che l'interiore, l'interno, gli odori oltrepassino la sbarra del visibile. Sulla carta c'è sempre un odore che ti accompagna, che permette di non perdere il contatto con il mondo immaginabile, invece in sala lo schermo è spesso crudelmente asettico, indifferente, concede a volte solo quel fatale abbraccio narcisistico, creando effetti di rispecchiamento, spettacolarità chiuse: quadro, inquadratura, corpo inquadrato, incorniciato, rinchiuso nel quadro. Passaggio graduale dall'interno alla reclusione. Bisogna sperare che il vedere perda quell'innocenza inconscia, naturale, automatica. Ma anche di non aver paura del silenzio, di non aver paura dell'inesprimibile, perché il cinema può essere rumore che ci perseguita o anche assenza di suoni e pensieri: al cinema cerchiamo la tranquillità spesso, ma copriamo il vuoto che ci minaccia con una risata, con il pianto, il vociare, il colpo di tosse. Tom Tykwer, tra i più interessanti registi tedeschi, autore di Lola corre, La principessa + Il guerriero, Heaven, conferma ancora una volta di essere una scheggia impazzita del cinema europeo, muovendosi sul terreno del confronto tra corpo filmato, macchina filmante e posizione dello spettatore. Quest'anno a Cannes abbiamo visto in Paris je t'aime, film a segmenti e a più mani (Gus Van Sant, i fratelli Coen, Assayas, Cuaron e altri) dedicato alla città francese, il suo episodio essere tra i più belli, dove racconta una storia d'amore tra un ragazzo non vedente e una giovane aspirante attrice (Natalie Portman). Non una semplice storia d'amore, ma una storia di contatti e contrasti che squarciano e commuovono, senza la pesantezza intellettualistica di un romanzo filmato. Proprio quello che Profumo – Storia di un assassino prova a liberare, se pur impastato di effetti a volte ridondanti, di un uso a volte eccessivo della voce fuori campo, che potrebbero far storcere il naso (anche quelli francesi), per quella ricerca sospetta di esibizionismo manierato.

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Il giovane Jean Baptiste Grenouille, nella Francia del XVII secolo, è ossessionato dagli odori, vorrebbe catturarli per sempre, è sicuro che l'essenza di un uomo si esprima attraverso il suo odore. Rievoca l'enfant sauvage di Truffaut, il Kasper Hauser di Herzog e, per certi versi, anche l'Oliver Twist di Polanski. Per una malformazione genetica, ha l'olfatto sovrumano, è preda del suo naso, l'unica parte del suo copro che al primo fotogramma stringe un patto sacro tra luce e ombra. È costretto ad uccidere quelle donne che lo conquistano per poter creare il profumo del secolo, un profumo capace di assoggettare la volontà di ognuno alla sua. Grenouille si accorge di non aver odore e quindi di non esistere: combatte per essere riconosciuto e amato, confonde il tanfo degli spazi opprimenti di Parigi, con gli spazi aperti dell'infinito viaggiare. Così anche Tykwer costruisce un mondo, che a volte pare un laboratorio asettico, "spiegazzato": spazio sferico, finito, ma senza bordi e illimitato, così che ogni raggio luminoso, ogni cromatismo sembra produrre un "miraggio" olfattivo. Il suo cinema è "spiegazzato" anche quando attraversa echi di genere: Grenouille a volte si muove con la frenesia di "Lola", si fa soggetto/oggetto noir, psicopatico lombrosiano, velato horror/thriller, tenebroso segugio di estetizzante bellezza e cromatismi. Va al di là della rappresentazione del cinema non fuori dal mondo, non di fronte al mondo, ma parte del mondo, ciò che del mondo diventa sguardo. Come nell'allegorica quanto grottesca orgia finale tra chi gridava la morte di Grenouille, per ingabbiare la sessualità nell'ombra, nel sottoscala della vita, come se non fosse ancora chiaro se sono tutti i sensi ad "illuminare" le cose o se è dalle cose che l'illuminazione va dritta al nostro cuore. L'ultima goccia di quel "magico" profumo è un seme nella terra dove trova la morte Grenouille: è il seme di chi non è più invisibile tra i visibile, non più inodore tra la carne inquieta.

Titolo originale: Perfume – The Story of a Murderer


Regia: Tom Tykwer


Interpreti: Dustin Hoffman, Alan Rickman, Ben Whishaw, Corinna Harfouch, Rachel Hurd-Wood, Paul Berrondo    


Distribuzione: Medusa


Durata: 147'


Origine: Germania, 2006

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