Quando il cuore va oltre le regole sociali: intervista ad Anna Muylaert

La regista parla di È arrivata mia figlia (Que horas ela volta?), vincitore del Premio del Pubblico alla Berlinale e del Premio Speciale della Giuria al Sundance Film Festival e da oggi in sala

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Anna Muylaert racconta del suo nuovo film È arrivata mia figlia (Que horas ela volta?), vincitore del Premio del Pubblico alla Berlinale e del Premio Speciale della Giuria al Sundance Film Festival. La storia è quella di Val (Regina Case), una domestica devota e amorevole che cresce il figlio dei suoi padroni rispettando tutte quelle regole sociali derivate da un retaggio culturale di forte impronta classista. Dopo aver rinunciato a crescere sua figlia Jessica (Camila Márdila), questa si riaffaccia nella sua vita, ormai donna e ben consapevole dei propri diritti. Un confronto che vede protagoniste generazioni diverse ed anche i figli dell’élite (Playboys) e i figli delle masse popolari emarginate… In sala dal 4 giugno.

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La prima stesura della sceneggiatura del tuo film è avvenuta venti anni fa. Cosa è cambiato nel corso del tempo? Com’è cambiato il Brasile e perché?

Il film ho iniziato a scriverlo quando è nato mio figlio, vent’anni fa, e affrontava il tema della maternità, della sua svalutazione, le babysitter, le questioni sociali ecc. ecc. e la prima versione si chiamava Porta della cucina però era molto legata al realismo magico. Allora si trattava del mio primo film ed ho pensato che sarebbe stato molto difficile per me girarlo, dunque l’ho messo da parte e nel frattempo mi sono dedicata ad altri due film più personali, con temi meno universali. Poi sono tornata a questo film ma con un approccio più realistico, la storia era quella attuale ma più legata a dei cliché, come quello della figlia che arrivava a San Paolo per fare la manicure. Poi con i cambiamenti che ci sono stati nel paese in questi anni e con il fatto che io non volevo assolutamente stare su questi cliché, o avere l’happy end un po’ scontato e da soap opera (lei che diventa una cantante famosa..). Quando ormai mancava poco alle riprese del film mi sono chiusa in casa proprio per poter pensare e trovare una soluzione, fino a che mi è venuta l’idea che la figlia veniva a San Paolo per studiare architettura, a fare questo esame, e lì è stato un salto del personaggio ed anche del film.

 

è arrivata mia figliaIl suo film sembra basarsi anche su uno studio psicologico molto accurato, una sorta di innamoramento della donna di servizio per i padroni. Sembra rimanere prigioniera del suo amore soprattutto nei confronti del loro figlio, e poi c’è un successivo disamoramento tra i due, quando lui va via e la protagonista, Val, scopre che loro non sono poi così simpatici, così gentili. È una situazione questa che rispecchia l’attualità?

Credo che questo disamore avvenga quando la figlia di Val, Jessica, supera il figlio dei padroni. Quando Val informa i padroni dell’arrivo di sua figlia, lei è molto felice però al tempo stesso ha paura perché è una cosa sua, un sentimento forte che supera tutto il resto, tutte le restrizioni e gli obblighi. Questo emerge nella scena della piscina quando Val è costretta a capire che lei non è così debole, che anzi è molto forte. Soprattutto quando scopre il nipote, allora subentra il cuore. Il cuore va oltre le regole sociali ed è proprio questo il focus del film.

 

Quanto è attuale questa situazione legata alle donne di servizio che sono quasi prigioniere, sembrano soffrire in un certo senso la sindrome di Stoccolma?

Ancora sussiste questa situazione. Fino a cinque anni fa era esattamente così come si vede nel film. Poi con la legge che ha fatto Dilma sulla regolarizzazione del lavoro nella quale è specificato che la domestica non può dormire nella casa dei padroni senza ricevere un pagamento come lavoro straordinario. Questa nuova legislazione ha un po’ allontanato la schiavitù per rendere questo lavoro più professionale, ma si tratta comunque di una legge molto recente e purtroppo questa situazione ancora esiste, anche se la domestica non dorme più in casa il rapporto è quello.

 

Una tematica molto importante nel film è quella dell’educazione: Val cresce Fabinho, che non è suo figlio, in una sorta di sospensione educazionale imposta dalla definizione dei ruoli sociali all’interno dell’ambiente domestico. Allo stesso tempo è impossibilitata a crescere sua figlia e dunque sembra non poter mai trasmettere i suoi valori. Come ha costruito questo paradosso?

Una caratteristica propria del Brasile ritrae la donna di servizio come colei che da un affetto di tipo fisico, tramite carezze, premure, tutto ciò che la madre non fa e non da più. Inoltre Val rispetta delle regole sociali che non sono dette ma esistono. Quando arriva l’ora clou, quando il ragazzo ha più bisogno, non ha nessuno perché la madre non c’è e quindi è solo. Inoltre questi ragazzi giovani dell’élite, che vengono denominati Playboys dai “piccoli malavitosi”, sono un po’ tontoloni perché non hanno mai fatto sforzi, non hanno mai lavorato, sono stati educati per essere pigri, quindi quando arrivano ai 18/20 anni che sono ancora dei bambini, mentre quelli più poveri sono già molto più svegli, molto più pronti alla vita però non hanno potuto studiare.

 

è arrivata mia figliaEd è cambiato negli ultimi anni il sistema scolastico, l’inclusività e l’accessibilità nelle università in Brasile?
L’educazione va ancora molto male, è ancora riservata all’élite anche se Dilma ha recentemente fatto questa legge con delle quote di accesso all’università per la popolazione di colore. Questo dovrà favorire l’inclusione che però è ancora in divenire.

 

Come ha scelto le attrici per questo film?
Regina Case è un’attrice molto famosa, ha fatto un film importante dal titolo Io, tu e loro e lei ha sempre voluto fare questo film con me e io viceversa volevo farlo con lei. Ha da subito amato questo personaggio della domestica e da ben quindici anni non faceva film, in quanto conduce un programma televisivo molto famoso, come Oprah negli Stati Uniti. Ero convinta fin da principio che lei avrebbe interpretato bene il personaggio ma è riuscita davvero ad andare oltre le mie aspettative ed anche le sue. Per esempio il fatto che avrebbe dovuto parlare con un accento pernambucano, che non è il suo perché è di Rio de Janeiro, la spaventava molto e dunque all’inizio le ho affiancato un insegnate affinché acquisisse tale accento. Dopo una settimana è venuto fuori che suo nonno era pernambucano, cose che lei stessa non avrebbe mai immaginato. Un altro esempio lo ricordo nella scena in cui Val è in cucina e dice che la figlia sta per arrivare; nella sceneggiatura era una scena in cui lei doveva esprimere tutta la sua gioia e invece lì per lì ha tirato fuori questo nervosismo, questa paura dei padroni e quando ha rivisto il girato mi ha detto “però non sembro così felice come avrei dovuto…”. Invece è stato addirittura meglio di come avevo pensato.

 

Che cosa significa per lei essere una buona madre?

Dare al proprio figlio la possibilità di essere se stesso. Intromettersi nella sua vita il meno possibile, ossia dare sempre amore, sostegno ma non guidarlo. Lasciare che sia lui stesso a guidarsi.

 

Quali difficoltà ha riscontrato nel girare questo film? E come è stato ricevuto dal pubblico brasiliano?

Il film ancora non è uscito in Brasile. La parte più difficile diciamo che è stata la sceneggiatura perché volevo arrivare a dire qualcosa di nuovo, evitare il solito cliché della ragazza umile che arriva, va al letto col padrone ecc. ecc. La seconda sfida è stata invece quella dei soldi. Ho lavorato tanti mesi senza guadagnare nulla perché le risorse erano finite, anche per andare al Sundance Festival ho chiesto soldi in prestito e malgrado il film sia stato venduto in Europa ed abbia avuto successo, i soldi ancora non sono arrivati. Questa è una cosa terribile, paradossale. Il film inoltre non potrà uscire in Brasile finché non avrò sanato questi debiti ma stiamo risolvendo e credo che entro settembre sarà in sala. Inoltre vorrei aggiungere che mentre in Europa il film è visto con gioia, allegria, in Brasile le tematiche toccate sono viste come qualcosa di cui vergognarsi, è visto con diffidenza perché mostra tutte le meschinità che nel vivere quotidiano sono assolutamente automatizzate.

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