"Quando uno crede veramente in una cosa deve andare avanti!" – Conversazione con Aurelio Grimaldi

Incontrato ad Alba, durante Infinity Festival, Aurelio Grimaldi ci parla del suo ultimo film "Un mondo d'amore", del suo "amore" Pasolini e di quanto poco spazio ha il cinema nella cultura contemporanea.

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

Presentato all'Infinity Festival di Alba in anteprima, Un Mondo d'amore è il secondo film di Aurelio Grimaldi direttamente ispirato alla vita di Pier Paolo Pasolini, dopo Nerolio (1996). Il grande cineasta e scrittore friulano resta comunque un punto di riferimento costante nella filmografia di Aurelio Grimaldi, come è evidente in Rosa Funzeca, ispirato a Mamma Roma, e velato in Le buttane e La discesa di Aclà a Floristella, quindi la discussione scivola inevitabilmente sul nome e la figura di Pasolini. Questo non toglie spazio a "Un Mondo d'amore" né al suo autore, testardo e indipendente nei suoi progetti sempre dal budget ridotto, che qui, grazie anche all'atmosfera rilassata e "informale" dell'Infinity si lascia andare ed esprime tutto il suo malcontento sugli spazi riservati a quel cinema che definisce "d'autore". Azzardando anche una sua "ricetta"…

Torni ancora una volta su P., dopo Nerolio e lo stesso Rosa Funzeca, sorta di remake di Mamma Roma

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

E' difficile continuare a parlare di P. perché è l'autore più citato del '900 da tutti quanti: scrittori cineasti studenti…è una sorta di mitologia nazionale…


A me viene comodo definire il mio rapporto con P. amore critico – io sostengo che tutti gli amori veri siano critici – e della persona che ami in qualche misura cerchi si appropriartene, di confrontarti, di litigare… Io l'ho fatto in questi film ma anche in quelli in cui P. non c'entrava direttamente: mi ricordo che anche di La discesa di Aclà a Floristella o Le buttane, i miei primi film, dicevano che erano pasoliniani, spesso per attaccarli non per elogiarli.


Certamente è un artista, soprattutto nella sua fase realistica, per me molto molto importante, però mi interessa anche la sua vita e per questo ho realizzato prima Nerolio e poi Un mondo d'amore e mi fa piacere che questi due film siano molto diversi tra loro. Se Nerolio fu accusato di essere irriverente e irrispettoso verso P., questo magari potrebbe esserlo al contrario di presentare un P. troppo dimesso e sulla difensiva. La verità è in primo luogo che lui era un essere umano con tutte le sue sfaccettature, quindi non era né sempre in una maniera né sempre in un'altra; in secondo luogo che il cinema non è storia, documentazione pura. Entrambi i film sono documentati però ovviamente sono dei film e non un documento storico in cui si cerca di ricostruire la verità.


In Un mondo d'amore si narrano fatti realmente accaduti nella vita di P., per i dialoghi e i "documenti" (penso al testo della denuncia, i titoli sul giornali con l'accusa di molestie, le lettere) hai usato i testi reali o li hai sceneggiati?


Il film nella prima parte, in Friuli quando esplode lo scandalo, e nella terza, P. a Roma, è molto documentato. Ad esempio i fatti romani con lui che si iscrive al sindacato comparse, sua madre che va a fare la domestica da una famiglia, gli alloggi trovati dallo zio di P., il fratello di Susanna, sono tutti documentati; così come nella prima parte gli atti giudiziari etc… La parte centrale invece, quella del viaggio in treno e del romanzo del giovane Salvatore, sono ovviamente ricostruiti


Il dubbio ci era venuto sulle lettere, spesso sono presenti nel film e ultimamente sono state tutte pubblicate…


Si sono uscite curate da Nico Naldini. Le lettere sono riscritture, nel senso che non ho preso una lettera e l'ho riportata nel film, ma attraverso la lettura generale delle lettere, senza averle sottomano quando scrivevo la sceneggiatura le ho riscritte un po' nello stile pasoliniano. Ho cercato di conservare comunque il senso molto disperato delle lettere sulla partenza dal Friuli e l'arrivo a Roma che credo fu  il periodo più difficile della vita di P., l'unico in cui pensava che per lui non c'era nulla da fare e perciò scriveva anche "non troverò mai lavoro", "non mi pubblicherà mai nessuno". Era stata talmente forte l'umiliazione, l'isolamento, il fatto che non trovò lavoro per sette mesi e il primo fu di andare in una scuola privata a Ciampino: le cose gli andarono abbastanza male, come è normale per un giovane che si ritrova in una nuova città dopo una sconfitta… E' documentato che fu rifiutato da più parti anche perché l'anno scolastico era iniziato, quindi tutto questo si coagula in un P. in enorme difficoltà, i documenti raccolti e le lettere sono unilaterali… Ma chiunque può immaginare come poteva essere in Friuli, terra molto cattolica, nel '49, subire uno scandalo come questo.

Nel periodo su cui è focalizzata la tua attenzione nel film, vivono fasi cruciali alcuni rapporti di P. come la rottura con il padre e con il PCI, e soprattutto avviene un passaggio fondamentale per la sua poetica che passa dallo studio della lingua friulana delle prime opere a quello della metropoli…anche se forse è la stessa cosa, perché in lui c'è sempre un forte interesse per l'individuo che ha di fronte, cosa che si vede nel tuo film, e pensiamo alle immagini della seconda parte, nella periferia di una città che non sappiamo se è Roma…

E' una finta Roma…cioè quando vediamo i bambini e altri pezzi siamo in Calabria, mentre quando lui è da solo a Cinecittà o nella periferia si vede che è Roma. Certamente questo trasloco drammatico, lacerante dal Friuli nasce da un trauma, però si rivelerà in verità la svolta positiva della vita di P.. All'inizio continuerà i progetti iniziati in Friuli ma presto li abbandonerà per dedicarsi a Ragazzi di Vita e Una vita violenta, i primi romanzi pubblicati, che io preferisco di gran lunga anche se la critica sembra preferire le opere friulane. Dal punto di vista politico e umano né col padre né col PCI ci fu una rottura definitiva. Con il PCI, anche se non si riscrisse più al partito, rimase comunque una relazione contrastata, forse più dal partito che da P., che spesso lo indicò come il miglior partito soprattutto per la sua base…


Il rapporto con il PCI è accomunabile al "paterno", in P.


Il quale rimase in Friuli, che non era la sua regione, per un altro anno e mezzo, prima che P. ricominciasse a lavorare e prendesse con i genitori una casa a Rebibbia. In realtà, il rapporto con il padre non si risolse mai, però ci fu questo ricongiungimento formale; io mi sono fermato alla prima settimana a Roma, quindi ancora non c'erano spiragli o altro… Ho lasciato qualcosa in sospeso nelle lettere che P., per quanto disperato, cominciò a scrivere al cugino Nico Naldini, amico e compagno di avventure, l'unico con cui si confidasse sinceramente almeno in questa fase, in cui raccontava l'impatto con i ragazzi romani, ovviamente diversi da quelli friulani, con grande entusiasmo anche da un punto di vista erotico e sessuale. Io ho immaginato che in questa prima settimana non abbia avuto rapporti sessuali con i ragazzi romani e si fosse limitato a guardare e osservare questa umanità; ma è probabile che sin dall'inizio cominciò a conoscerla anche intimamente, quindi, tra alti e bassi, comunque Roma si pose come mondo tutto da scoprire.


E'importante che tu abbia precisato che nel film c fermiamo alla prima settimana a Roma, perché il personaggio di P., soprattutto nella terza parte, sembra quasi un personaggio di Moravia, un uomo che guarda: in particolare nella scena della partita a pallone, quando rimane in disparte.


Dal mio punto di vista è un P. che ha preso tante di quelle legnate e torna a esplorare il mondo, ma lo fa con la timidezza e la paura di chi teme di essere colto in fallo, di esagerare, sbagliare…La sua attrazione per  i ragazzi era sicuramente irrefrenabile, però qui c'è un P. che comincia ad uscire dal guscio in cui si era chiuso, a uscire timidamente senza aggredire…


Sembra che per te questo sia un film su un passaggio, umano e spaziale, di P. attraverso lo scandalo: inizia che è già sotto accusa, in caserma, e finisce dopo la prima settimana a Roma; soprattutto hai dato uno spazio ampio al viaggio in treno, che potevi omettere con ellissi e invece occupa tutta la seconda parte…


La suggestione del viaggio era anche la consapevolezza documentata che P. e la madre non parlarono mai della sua omosessualità, neanche di quella dell'unico fratello maschio di Susanna.  Per di più la madre non chiese mai spiegazioni sullo scandalo, anzi in un'intervista rilasciata prima di morire, che ho trovato in una biografia, disse: "Io mi sono sempre fidata di mio figlio, contro ogni accusa che gli è stata fatta perché so che egli è un buono". Quindi ero colpito da questo lungo viaggio di una madre che parte senza cercare o desiderare un confronto con il figlio. Infatti, nel film, sono i passeggeri che si rivolgono a loro mentre stanno in silenzio e questo silenzio tra madre e figlio è il silenzio di tutto il film… loro due in nessun caso si parlano e non penso sia dovuto a pregiudizi cattolici o a vergogna, ma c'era una tale fiducia e una tale sicurezza di questo amore travolgente che non aveva bisogno di parole.


Forse perché era un rapporto diretto naturale, primordiale, anche nelle opere di P. il rapporto con la madre è più animale rispetto a quello con il padre, figura più "civile" e razionale…


Ci sono varie implicazioni, ma a me interessava questo lungo viaggio in cui c'era questo "chiummo", piombo come si dice in siciliano, che avevano in testa, ma non avevano bisogno di chiarirlo o comunque non riuscivano a scioglierlo nei chiarimenti. Insieme, quello che per me è il racconto del giovane Salvatore, anche in un momento di depressione, c'è questa apertura di P. verso l'umanità che lo circondava.

E' chiaro che chiunque ama P. ne ha una sua idea personale, ci è sembrato che nel film ci sia un P. che somiglia un po' ad Aurelio Grimaldi…non che tu ti sia identificato, piuttosto che hai fatto un film su una figura che senti vicina. In particolare nel pezzo del treno, con la donna/madre siciliana, tua terra d'origine…


Considera che io sono figlio e nipote di ferrovieri, mio nonno i miei zii erano tutti ferrovieri, sono nato in Sicilia ma a due anni i miei genitori si trasferirono a Luino, in provincia di Varese a confine con la Svizzera, quindi dall'altra parte, e io questi viaggi nord-sud li ho vissuti in prima persona e ancora oggi uso molto il treno. Avevamo i biglietti di prima classe gratuiti, una situazione privilegiata, ma naturalmente io vedevo, conoscevo, ho un ricordo molto positivo di questi viaggi. Naturalmente io li ho vissuti negli anni '60, nel film siamo nel '49 era un'altra Italia, molto più povera, certamente ci ho infilato cose che mi stanno a cuore: è vero che il treno va a sud ma io ho messo tutti passeggeri del sud mentre poteva capitarci qualche settentrionale… Questa è la differenza tra cinema e documento storico, io volevo fare un film e volevo raccontare una storia che mi stava a cuore, ma volevo raccontare le cose che più mi colpiscono. Faccio un esempio con i film di Francesco Rosi in cui affrontava questioni storico-politiche, come Salvatore Giuliano o Il caso Mattei, che a me piacciono molto: è chiaro che sono film documentati, ma i passaggi, le ipotesi, le interconnessioni e i buchi neri sono di Rosi e mi piacciono questi film proprio per questo. Lo stesso, in maniera diversa, perché Un mondo d'amore non è un film politico, ho cercato di fare nel mio film.


Abbiamo sempre amato la carica violenta di P., che ci sembra attraversi tutta la sua opera, nel tuo film invece, c'è un personaggio molto dolce, verso il quale lo spettatore prova un sentimento quasi di pena quando è aggredito da più parti….


Vedi, a me fa molto piacere che mentre in Nerolio mi attaccarono di disegnare un P. troppo aggressivo, arrogante e a modo suo violento, in Un mondo d'amore la stessa persona appare, più che dolce, remissivo, sulla difensiva… Per questo mi piace Pier Maria Bocchi quando scrive che questi due film sono a clessidra, da qualunque parti la giri è la stessa sabbia a riempire i due vuoti opposti. In effetti è così, perché è vero che io racconto due P., uno del '49 e l'atro del '75, 26 anni dopo in cui sono successe così tante cose nella sua vita, però sono entrambi momenti molto particolari, non quotidiani, della sua biografia.


Un mondo d'amore è il momento più difficile mentre nel '75 era all'apice della fama. Io credo che fosse contemporaneamente una persona dolce e aggressiva. Il suo temperamento, come testimoniano tutti quelli che hanno fatto film con lui e si vede anche nelle interviste, era di una persona che argomentava con molta energia che però, anche quando era attaccato, non replicava con arroganza, lo sgarbismo non esisteva o a lui non interessava. P. rispondeva in modi anche molto forti: ricordo una polemica, oggi pubblicata in Scritti Corsari, in cui litigò con Carlo Casalegno allora vicedirettore de La Stampa, arrivando a minacciarlo di andare a Torino e picchiarlo. A me non piace questo suo atteggiamento però ognuno è libero di comportarsi come vuole e di entrare come crede nelle polemiche culturali.


Prima parlavamo dei personaggi che P. e sua madre trovano sul treno che li porta a Roma, sono tutti meridionali come il resto dei personaggi secondari…


Qui c'è il mio essere meridionale, la consapevolezza che i siciliani ma anche i napoletani sono dappertutto. C'è questo amore, oserei dire quasi pasoliniano, verso questa umanità; un amore per il sud che era un po' anche l'amore di P. che è stato tante volte in Sicilia ma anche nel sud del mondo, il nord non gli interessava molto.


Si nota una certa caricatura di elementi significanti su questi personaggi, come la figura del carabiniere meridionale, quasi una caricatura, il padre che esce con la divisa per andare a comprare il giornale, su cui sa già che troverà la notizia sul figlio…


Io il padre l'ho sempre immaginato come un uomo che usciva in divisa, così legato al suo essere militare, diverso dalla famiglia di Susanna in cui erano di idee più aperte, socialisti. Mentre il carabiniere, a cui ho cambiato il cognome come faccio di solito nei miei film, era meridionale nella realtà e l'ho lasciato così; non lo so se ho corso il rischio della caricatura, volutamente non aspiravo a questo. Il maresciallo è Gaetano Amato, che conosco bene e considero molto bravo, e ha interpretato la parte, come eravamo d'accordo, lasciandogli il suo accento napoletano anche se senza caricare più di tanto. Tieni conto anche qui che siamo nel '49, credo che un padre di quel periodo avrebbe preferito un figlio assassino o rapinatore a uno che andasse a scopare con i ragazzini, perciò quell'atteggiamento può oggi apparire esagerato, ma anche la difesa di P., che nominò André Gide e i carabinieri non sapevano chi fosse, è documentata.


Come ancora oggi non hanno imparato che è Gide, o Godard, e forse lo stesso P…


P. no, sanno chi è. Possono non conoscere le opere ma tutti hanno presente la figura dell'intellettuale omosessuale, maledetto…

Partendo proprio da questo, possiamo dire che i tuoi film sono importanti per approfondire quello che è diventato un "logo", per usare un termine di politica contemporanea, il P. gay, grande artista, conosciuto più come mito che come artista.


Mito delle classi colte, che lo considerano una sorta di monumento di pietra… Il rischio che c'è ogni volta che tu trasformi, volutamente o meno, un artista in un classico è che si perda, al di fuori dell'atteggiamento scolastico, la fruizione stessa dell'artista. Oggi P. è un cineasta i cui film non sono visti e conosciuti, anche perché televisivamente quelli vietati ai minori di 18 anni li hanno massacrati e li mandano in onda all'una una e mezza di notte, gli altri sono quasi invisibili. Io mi ricordo, ai miei tempi, che il lunedì era il giorno dell'unico film della settimana su Rai Uno, e ad un certo punto Accattone fu mandato in prima serata. C'era un atteggiamento diverso nei confronti del cinema, per cui su quattro film al mese due o tre erano hollywoodiani ma c'era il film italiano importante, quindi non so…Ladri di biciclette, Miracolo a Milano e anche per Accattone arrivò il riconoscimento di passare in prima serata e questo significava un potenziale di spettatori che era minimo di dieci milioni e poteva arrivare a trenta. Oggi non c'è neanche questo punto di appoggio, secondo me ingiustificatamente e inaccettabilmente, perché se Così ridevano di Gianni Amelio, l'ultimo Leone d'oro del cinema italiano, va in onda in prima TV all'una su fuori orario mi sembra una vergogna, proprio il simbolo che siamo caduti in basso. E questo lo fa la televisione pubblica perché se lo facesse la privata cavoli loro. Invece Così ridevano è un patrimonio, puoi considerarlo un leone d'oro meritato o immeritato (per me era meritato), che se lo presenti allo spettatore come serata particolare, dicendo che questo è un film che ha vinto un festival importante come Venezia, metti dei critici favorevoli e altri contrari alla fine, con un dibattito sull'emigrazione negli anni '60, e lo mandi anche su rai tre, non dico necessariamente sulla prima rete ma in prima serata, metti a disposizione di un pubblico ampio.


Tu spesso fai film che non godono di una lunga presenza nelle sale, quindi la TV sarebbe importante anche per raggiungere la gente, ma come pensi che apparirebbe, nell'attuale struttura televisiva, un film di Pasolini o Amelio, Ophuls o lo stesso Grimaldi messo tra il TG e Porta a Porta, agli occhi di uno spettatore "ingenuo"?


Io voglio essere molto realista, nel senso che so bene che oggi il pubblico non è "educato" a vedere un film di Gianni Amelio, ma se io fossi un consigliere Rai penserei che è possibile, oserei dire necessario, che il cinema d'autore, oltre ad avere degli spazi quasi inevitabili in orari più scomodi, dove per certi versi c'è anche un pubblico più interessato, possa passare in prima serata. Certo bisogna pubblicizzarlo, presentarlo in un certo modo e magari affiancato da un dibattito, "no il dibattito no…" è vero, ma credo sarebbe necessario un confronto, un talk show, una discussione, chiamiamola come vogliamo, sul film e/o sull'argomento. Io credo che un impatto di questo tipo potrebbe avere intanto un seguito di pubblico superiore alle aspettative ma se anche quella sera ci fossero la metà degli spettatori una tv pubblica ha il dovere di prendersi questi rischi.


Un'ultima cosa: la canzone che hai scelto per aprire e chiudere il film, La terza luna di Neil Sedaka è degli anni '60 mentre la vicenda è del '49: nel film è messa all'inizio, alla fine e durante un sogno, sempre fuori dalla narrazione, per lo scarto con il tempo del racconto?


Si, perché è una canzone anni '60 e il film è ambientato nel '49. Nel resto del film c'è musica da film, pezzi barocchi rifatti dagli allievi del Conservatorio di Vibo Valentia, dove abbiamo girato quasi tutto perché c'è una proprietà della produttrice, Caterina Nardi oltre a pezzi di un dibattito politico radiofonico del tempo, trovati su internet. Io sono ossessivamente appassionato di musica barocca, Bach, Hendel e poi della musica anni '60; per un motivo personale che non c'entra con il film. Ho un rapporto non diretto con la musica, non credo che un brano vada caricato di simbologie, ma sento e vivo la musica come emozione individuale: una canzone mi da una serie di emozioni non descrivibile e decido di legarla a delle immagini, sperando che insieme creino un effetto che dica qualche cosa. Per Un mondo d'amore avevo scelto una canzone di Gianni Morandi – non è "Un Mondo d'amore", il titolo l'ho preso non dal pezzo di Morandi ma da una riscrittura degli scritti di Pasolini – ma costava 25milioni, troppi per la produzione. Allora la stessa BMG Ariola mi ha chiesto se potevano propormi un cd con pezzi degli anni '60 che costassero massimo dieci milioni; io ha dato delle indicazioni di tonalità e loro mi prepararono una selezione in cui c'era anche La terza luna. Curiosamente a mia moglie non piaceva affatto, io spesso ascolto i suoi consigli mentre stavolta ho fatto di testa mia e adesso è lei che mi dice che ho ragione. Anche mio figlio diceva che era una schifezza ma da lui un giudizio così è normale, per il gap d'età. Quando uno crede veramente in una cosa…


Quando uno crede veramente in una cosa…?


Deve andare avanti!


I miei collaboratori dicono che sono molto testardo, a me invece molte volte sembra che in certi momenti mi faccio dare insicurezza quando le idee degli altri sono molto diverse da quello che penso io. Quando mia moglie mi ha detto che la canzone era veramente una schifezza, ho pensato che stessi sbagliando ma poi ho deciso di continuare su quella strada perché mi piaceva, e ho fatto bene. Da questa esperienza ho imparato molto, l'ho detto anche a lei: ho capito che se una cosa mi piace potete dire tutti che è una schifezza, se a me piace perché non la devo usare… Finché avrò la possibilità di realizzare i miei progetti li faccio, quando non sarà più possibile i miei film me li terrò in testa.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative