Quei bravi ragazzi, di Martin Scorsese

goodfellas scorsese 
Il senso del film e del cinema di Scorsese è contenuto tutto in quei movimenti di macchina che mostrano qualcosa e dicono qualcos’altro: affascinano per la loro perfetta realizzazione tecnica, ma in realtà dicono ciò che c’è dietro alla facciata, dove si truccano le partite, si contano i soldi, si regolano i conti. Mercoledì 16 Settembre, ore 23.55, Italia 1

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Dei tanti movimenti di macchina che affollano Quei bravi ragazzi, ce n’è uno che più degli altri è in grado di raccontare il senso del film: Henry (un grande Ray Liotta) accompagna la fidanzata Karen (Lorraine Bracco) in un locale rinomato, approfittando della propria notorietà evita la coda e passa dall’entrata secondaria. I due attraversano i corridoi, le cucine e vengono fatti accomodare al miglior tavolo, preparato appositamente sul momento. Ecco, il senso del film e del cinema di Scorsese in generale, è contenuto tutto in quei carrelli, dolly, steadycam, primo marchio di fabbrica del regista, che, giostrati con la complicità del montaggio di Thelma Schoonmaker, mostrano qualcosa e dicono qualcos’altro. Mostrano un ambiente all’apparenza pieno di luci (le luci all’entrata del locale) e colori (quelli dei vestiti sgargianti, delle tovaglie dei tavoli), vivo e vivace (la musica, il chiacchiericcio dei clienti), affascinano per la loro perfetta realizzazione tecnica, ma in realtà dicono ciò che c’è dietro alla facciata, nel retrobottega, dove si cucina, ci si apparta, si truccano le partite, si contano i soldi, si regolano i conti. E lo fanno accompagnando per mano lo spettatore nel dietro le quinte, il dietro le quinte della malavita (la trilogia composta da Mean streets, Quei bravi ragazzi e Casinò), delle strade (Taxi Driver, Al di là della vita), dello spettacolo (Re per una notte), dell’umanità. Già i primi minuti di Quei bravi ragazzi confermano quanto abbiamo scritto: dentro a una macchina elegante e ben pulita su cui viaggiano tre uomini sonnacchiosi si nasconde il corpo martoriato di un poveraccio, dietro al titolo “goodfellas” si nasconde un’espressione malavitosa che fa del sangue (non a caso il titolo è colorato di rosso) il suo unico codice.
Quello di Scorsese è un chiarissimo, esaltante, persino presuntuoso avvertimento: dall’ingannevole apparenza del mondo non si scappa. I casinò per quanto belli e luminosi nasconderanno sempre l’inganno, le villette custodiranno sempre segreti di tradimenti ed eccessi, le autorità saranno sempre corrotte («Pagavamo gli sbirri, pagavamo gli avvocati, pagavamo i giudici. Stavano sempre con la mano tesa», dice Henry). E così nel finale, sulle note di My Way (la mia, la tua, la strada di tutti noi) di Frank Sinatra nella versione cantata da Sid Vicious (con dipendenza dalla droga, come lo sono stati i personaggi del film) dei Sex Pistols, Scorsese – omaggiando La grande rapina al treno di Porter – mostra il folle Tommy di Joe Pesci che spara due colpi di pistola alla macchina da presa. Non ha scampo, forse perseguitato dai fantasmi del passato o forse perché condannato ad essere uno stronzo qualsiasi, il protagonista Henry, a cui quei colpi potrebbero essere indirizzati; e non hanno scampo gli spettatori, a cui quei colpi sono sicuramente indirizzati.
Regia: Martin Scorsese
Interpreti: Ray Lotta, Robert De Niro, Joe Pesci, Lorraine Bracco, Paul Sorvino, Frank Sivero, Mike Starr, Frank Vincent
Durata: 146′
Origine: Usa

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