Qui, di Daniele Gaglianone

È strano: Qui è un film irrecensibile, probabilmente. Potremmo raccontarlo, passo per passo. Dieci abitanti della Val di Susa, diversissimi per età, estrazione sociale, stile di vita, interessi, aspirazioni, ma tutti uniti nel rifiuto categorico della famigerata TAV Torino-Lione. Non per motivazioni ideologiche, ma per il semplice e sacrosanto bisogno di difendere il proprio mondo dall’arroganza di scelte (poco) strategiche imposte dall’alto. Sì, potremmo raccontare le parole e i gesti di Gabriella Tittonel, attivista cattolica, di Aurelio Loprevite, lo speaker di Radio Blackout sempre impegnato a raccontare i drammatici scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine, e di tutti gli altri personaggi incontrati da Daniele Gaglianone. Ma il film non verrebbe comunque fuori. Il cinema rimarrebbe a lato, in disparte.

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Qui è senza dubbio un atto d’intervento, è ciò che potremmo chiamare un’opera militante. “Qui e ora”, appunto, testimonianza e documento, che risponde a una precisa scelta di campo di Gaglianone, lucidamente “di parte”, già a partire da quella didascalia iniziale in cui fa riferimento alle parole di un rappresentante delle forze dell’ordine, secondo cui è impossibile trovare qualcuno a favore della linea ad alta velocità: solo chi non conosce il progetto dell’opera, può difenderla; per il resto, la sua assurdità è scritta nelle cose. Tutto è sin troppo chiaro, evidente. Eppure, ripetiamo, il cinema sembra restare fuori. In qualche modo, qui, al film sfugge l’oggetto. Non che non abbia la forza di far emergere il senso di una lotta senza classe e senza età, tutta l’urgenza e la ragione di una protesta contro scelte politiche miopi e sorde. Ma è come se Gaglianone, a prescindere, rinunciasse a qualsiasi strategia di racconto, alla possibilità stessa di uno sguardo capace di intervenire sulle forme del reale. Sta lì, ascolta, a un certo appare in campo, quando i poliziotti chiedono i documenti della troupe. Ma non interviene, abdica apertamente al suo ruolo di autore. E allora perché il cinema?

 

Quello che facciamo a che cazzo serve? La domanda è sempre la stessa, quella che partiva spontanea da Mastandrea nel momento in cui La mia classe entrava in impasse, in quello strabiliante vicolo cieco in cui non c’era più alcuna finzione, alcuna struttura, sceneggiatura, programma in grado di reggere alla prova dei fatti, alla pressione degli eventi. Ed è questo, allora, ancora, il cuore profondo di Qui – girato più o meno in contemporanea – quello che colpisce allo stomaco con una forza da lasciare senza fiato. Mi sembra ormai che l’unica vera preoccupazione di Daniele Gaglianone sia quella di arrivare alla scoperta di un cinema necessario, di trovare quella strada che gli permetta di andare avanti con il lavoro, di far aderire un’urgenza etica pressante alle possibili soluzioni formali, narrative, estetiche. Anche a dispetto di esse. Una visione morale, in altri termini, che faccia parlare le persone, si faccia toccare dalle loro vite, dalle loro verità, che le accompagni con rispetto e pudore fino a farle venire fuori, libere dai vincoli della finzione, dalle storture dell’interpretazione. Senza queste vite, queste verità, il cinema davvero non serve a un cazzo. E questa umile consapevolezza sembra l’unica risposta possibile al narcisismo imperante dei tanti, cento, mille Autori che sacrificano le storie sull’altare dello stile. Ed è per questo, non fosse che per questo, che Qui è una bomba molotov scagliato contro le dittature della forma e dell’istituzione. Grazie.

 

Regia: Daniele Gaglianone

Origine: Italia, 2014

Distribuzione: Pablo

Durata: 120’

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