Rara, di Pepa San Martin

Come buona parte del cinema cileno, guarda alle dinamiche familiari. Il suo sguardo trasversale senza ruffianerie appare efficace

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Quando nel 2013 il festival di Pesaro radunò alcuni tra i migliori giovani registi cileni che, in una partecipata tavola rotonda, incontrarono il pubblico, dopo una consistente rassegna dei loro film, il dato essenziale che venne in rilievo fu quello di una distanza che questi prendevano, nel realizzare le proprie opere, da qualsiasi inflessione politica, da qualsiasi riferimento alla (tutto sommato) non lontana dittatura di Pinochet. Solo Pablo Larrain e Patricio Guzmán, in queglirara_2 stessi anni, con i loro film lavoravano e il secondo continua a farlo, ancora esplicitamente sul tema politico. Larrain lo ha fatto almeno sino al completamento del suo trittico che ha costituito un unicum nel cinema cileno di questi ultimi anni. Sosteneva in quella occasione Sebastian Lelio: “Nel cinema che vogliamo realizzare c’è un trionfo dell’intimità a differenza del passato, quando i film si riconoscevano nelle questioni politiche. I nostri film rimandano alle nostre piccole comunità, a cominciare da quelle familiari.” Sono proprio queste tematiche familiari a costituire, quindi, e con una certa costanza, il polo di interesse per il nuovo cinema cileno. Pepa San Martin, regista cilena nata nel 1974, non sfugge a questa corrente “familiare” e con Rara firma un film che pur declinando il tema dello scontro nel rapporto tra una famiglia eterosessuale e una

raraomosessuale, si occupa di dinamiche familiari e di come queste possano essere scatenate dai figli e di quanto i figli possano subirne le conseguenze. Il problema, o forse la fortuna è che quanto vediamo nel film appartiene più o meno alla realtà poiché la regista, lungi dal volere realizzare un fastidioso cinema verità o un cinema militante sulla causa omosessuale, filma la sua storia ispirandosi ad un fatto realmente accaduto. Il suo lavoro di realismo quotidiano è riuscito poiché ne ha ricavato una storia che non solo è credibilissima, ma riesce anche a suggerire i sentimenti della ragazzina protagonista, con il suo lavoro sui primi piani e l’efficacia espressiva dell’enigmatico volto della giovane attrice Julia Lübbert che veste i panni di Sara.
La regista ha trascorso un’intera estate con le sue giovani attrici entrando con discrezione nella loro quotidianità che sembra essere replicata nel film.
Un racconto tutto al femminile senza il peso psicologico che accompagna queste operazioni, che possiede l’ulteriore pregio di adottare uno sguardo trasversale su un mondo tanto vicino, quanto in realtà sconosciuto.
Paula e Lia sono una coppia e il loro rapporto è completatoActresses from left to right: Coca Guazzini, Agustina Muñoz, Mariana Loyola, dalle due figlie di Paula, Sara che ha tredici anni e la piccola Catalina, detta Cata che ne ha otto. Tutto sembra filare liscio fino a quando l’adolescenza gioca i soliti brutti scherzi a Sara che entra in conflitto con la madre. Questo sarà all’origine dell’altro conflitto tra la madre e il padre che ora vive con un’altra donna. Paula sarà portata in Tribunale per l’affidamento delle figlie.
Rara sfugge ad ogni ruffianeria, per nulla accattivante, così come non lo vuole essere Sara, vera chiave di volta del film, con i suoi misteriosi silenzi, i suoi desideri espressi all’amica del cuore e i suoi primi sobbalzi d’amore. Rara è anche un film sulla coppia omosessuale e ancora un film che necessariamente guarda al rapporto genitori – figli. Ma lo è in modo piuttosto originale. L’intento della regista, come più volte chiarito alla stampa, è quello di dimostrare che una coppia gay non ha gli stessi diritti di una coppia eterosessuale e ancora peggio i figli di una coppia gay restano privati di alcuni diritti quanto meno poiché rischiano di rimanere senza la guida di un genitore. La politica sembra riflettere su questi temi, ma con una lentezza incomprensibile rispetto alla velocità di evoluzione del pensiero collettivo.
Tutto questo è abbastanza vero e sicuramente è questo lo scenario dominante, ma ci è parso che quello che funzioni di più nel film sia piuttosto la capacità di raccontare questi passaggi e queste riflessioni, attraverso il tormento silenzioso di Sara, per mezzo della finta distrazione di Cata quando i genitori litigano per telefono. Pepa San Martin getta uno rara_1sguardo davvero particolare, vero, intenso, amorevole e comprensivo, ma nello stesso tempo senza troppa condiscendenza, sulle sue giovanissime protagoniste. Il suo intervento registico guarda con attenzione agli effetti, sordi e inspiegabili, per le piccole interpreti, che i loro comportamenti, anche quelli più apparentemente innocui, possano avere sulle persone. Ma si guarda soprattutto alla evoluzione di Sara, presa in quella specifica età di passaggio in cui il mondo sembra lentamente scoprirsi ai suoi occhi di giovanissima donna. Ma forse quello che più colpisce è la capacità di Sara (merito della giovanissima attrice) di cominciare a comprendere proprio questo e cioè che i suoi comportamenti non sono neutri e producono effetti, dolorosi e sconvolgenti sulle vite degli altri. Sara sta per entrare nell’età della responsabilità e il film sa cogliere questa istantanea così impercettibile e così inafferrabile. Ma la fatica è stata ripagata e cogliamo, nel finale aperto, il mutamento di Sara e soprattutto la fatica di portare da ora in poi questo peso. Verrebbe da dire: Quando sei nato non puoi più nasconderti.

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Titolo: id.
Regia: Pepa San Martin
Interpreti: Julia Lübbert, Mariana Loyola, Augustina Muñoz, Emilia Ossandón, Daniel Muñoz

Distribuzione: Nomad Film Distribution

Durata: 90’

Origine: Cile, Argentina, 2016

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