“Real Steel – Cuori d’acciaio”, di Shawn Levy

real steel
Tratto da Steel, il racconto di Richard Matheson che già aveva ispirato un episodio della gloriosa serie Ai confini della realtà, il film di Levy è, prima dei combattimenti che lo innervano e delle macchine che lo abitano, un viaggio nostalgico. Real Steel non guarda solo al futuro, ma cerca anche di riappropriarsi del passato per riportare in vita un sogno perduto e il cinema – non a caso il film è prodotto da Spielberg – diventa dimensione multitemporale e memoria del mito capace di mostrare la via per sopravvivere alla fine dell'american dream

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real steel A dispetto della sua vocazione da avventura del futuro (anche se quello di Real Steel è solo un futuro a portata di mano, siamo infatti nel vicinissimo 2020), c’è uno spesso strato di polvere che sembra ricoprire tutto il film. Non si tratta solo di quel cassetto dove Charlie Kenton ha sepolto il suo sogno di diventare un campione di pugilato, o delle lamiere ammaccate e ricoperte di fango di Atom, il vecchio robot salvato dalla ruggine e destinato a dividersi l’arena e il cuore del pubblico con la stella del novella boxe tutta meccanica, o ancora delle fattezze dei colossi d’acciaio che, in una complicata alchimia di pistoni, fili ed ingranaggi, ricordano i robot umanoidi degli anni ’50. Tratto da Steel, il racconto di Richard Matheson datato 1956 che già aveva ispirato un episodio della gloriosa serie Ai confini della realtà, Real Steel è infatti prima di tutto, prima dei combattimenti che lo innervano e delle macchine che lo abitano, un viaggio nostalgico. Forse anche per questo Shawn Levy riesce a farla franca di fronte ai suoi limiti nelle sequenze spettacolari, limiti già evidenti nel secondo capitolo di Una notte al museo. Nonostante la presenza di Sugar Ray Leonard in qualità di supervisore e il poderoso sforzo di modellare i movimenti della macchine su quelli di veri lottatori grazie al motion capture, Real Steel mostra il fiato corto proprio nelle scene dei combattimenti. Ma a Levy non sembrano interessare le acrobazie sul ring, è dentro il cuore dell’America, il cuore di Charlie e di Max, che Real Steel preferisce guardare. Ecco allora che il rapporto tra padre e figlio (per Shawn Levy non è una storia nuova, Ben Stiller aveva svegliato un intero museo pur di conquistare la stima di suo figlio), ha tutto l’aspetto di un road movie che, inseguendo Charlie, il campione fallito che gioca a nascondersi dalla vita interpretato da Hugh Jackman, e Max, l’undicenne testardo che sogna un padre capace di lottare per lui, ben presto abbandona la strada fantascientifico/spettacolare per esplorare quella parte di mondo, così tipicamente americana, fatta di fiere, di rodei e campi sterminati che si perdono all’orizzonte.
Real Steel non guarda dunque solo al futuro, ma cerca anche di riappropriarsi del passato per riportare in vita un sogno perduto e il cinema  – non a caso il film è prodotto da Steven Spielberg – diventa dimensione multitemporale e memoria del mito capace di mostrare la via per sopravvivere alla fine dell'american dream. Ecco perchè oltre a far rinascere proprio dalle macerie di Detroit il nuovo campione delle persone, Shawn Levy rimanda esplicitamente al mito di Rocky: la sfida finale tra Atom e il temibile Zeus non è altro che la versione robotizzata del primo, indimenticabile incontro tra Apollo e Rocky, e lo stesso Zeus, più macchina di tutte le altre macchine del film, assomiglia terribilmente alla riproduzione meccanica di Ivan Drago. L’epopea dell’eroe sportivo dal triplice volto di Real Steel, un eroe che ha il cuore di Max, i pugni di Charlie e l’acciaio di Atom, non è altro che la storia di un riscatto, il riscatto di quel sogno americano che sembrava definitivamente morto.



Titolo originale: Real Steel
Regia: Shawn Levy
Interpreti: Hugh Jackman, Dakota Goyo, Evangeline Lilly, Hope Davis
Distribuzione: The Walt Disney Company
Durata:
127’
Origine: USA, 2011
 

 

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