Registi Fuori dagli Sche(r)mi – Ferdinando Cito Filomarino presenta Antonia.

Il terzo appuntamento di “Registi Fuori dagli Sche(r)mi V” ha ospitato il regista milanese Ferdinando Cito Filomarino e il suo lungometraggio d’esordio Antonia.

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Il terzo appuntamento di “Registi Fuori dagli Sche(r)mi V” ha ospitato il regista milanese Ferdinando Cito Filomarino e il suo lungometraggio d’esordio Antonia. A dialogare con l’autore e la platea del Cineporto di Bari, su questa trasposizione della breve, ma intensa evoluzione artistica della poetessa milanese Antonia Pozzi, il direttore artistico Luigi Abiusi e i critici Roberto Silvestri e Cecilia Ermini. Antonia Pozzi, assurge all’empireo dei maggiori poeti italiani del novecento, grazie al nume onesto di Eugenio Montale, che ne curò le edizioni poetiche negli anni quaranta, purtroppo dopo che Antonia pose fine alla sua giovane vita nel 1938. Il Premio Nobel di quel “non chiederci la parola”, quanto allo status d’illuminazione del poeta, tessé le lodi lucide di colei che, pur nei suoi tormenti intimi e lirici, suggellò il proprio impossibile “Destino” in versi:
… e se nessuna porta
s’apre alla tua fatica,
se ridato t’è ad ogni passo il peso del tuo volto,
se è tua questa che è più di un dolore
gioia di continuare sola
nel limpido deserto dei tuoi monti
Ora accetti d’esser poeta”.
Antonia Pozzi fu poetessa, ma anche alpinista, fotografa, tutti estri vissuti ai margini del riscontro pubblico che le venne negato in vita dalla società fascista e ufficialmente maschilista del suo tempo. Forse anche per svincolare la sua memoria da tali morse, Ferdinando Cito Filomarino dichiara di aver scelto di non realizzare un lavoro biografico, bensì un ritratto di Antonia, con l’intento di focalizzare l’aura poetica espansa che l’avvolgeva anche e soprattutto nella quotidianità. Ecco forse spiegato il titolo Antonia. Antonia, punto e basta, emancipazione dal patronimico Pozzi, che le dà collocazione storiografica nella Milano industriale ed aristocratica degli anni ‘20 e ‘30, che la proscrisse alle convenienze sociali e ancor peggio, alla censura del suo corpus d’opere, pubblicate postume proprio dal padre – padrone. Cito Filomarino riferisce di esser pervenuto al progetto su iniziativa di uno dei produttori principali del film, il regista Luca Guadagnino, che consapevole della fascinazione esercitata dagli artisti su Ferdinando, ha ravvisato in lui la sensibilità ideale e ha assecondato il suo desiderio di realizzare un lavoro più ridimensionato, ma senza dubbio più onesto.

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Con i moderatori del dibattito in sala, il regista ha commentato le proprie intuizioni visive e visionarie, ai fini della rappresentazione dei versi letterari, vero cuore pulsante del film. Sulla falsa riga di Brama di vivere di Minnelli, Cito Filomarino mette in scena il verso libero di Antonia, attraverso una traslazione scenografica e attoriale (Linda Caridi, alla sua prima prova cinematografica) che trova apice, vero Cinema, come sottolinea Abiusi, nell’emblematica, dolce contorsione del corpo nudo di Antonia a letto, in dialogo atemporale con le note di “Va’” del cantautore Piero Ciampi, così a restituire senza declamazione ed altro filtro con lo spettatore, l’erotismo vitale eppure già funesto del componimento “Guardami sono nuda”.
Antonia. è in verità un’opera prima che può vantare ben più d’una scena auto-conclusa, che sappia ben introdurci alla conflittualità esistenziale della Pozzi (adolescente è già l’unica che siede scomposta tra le compagne, spontaneamente indifferente all’educazione imposta; la ribellione delle movenze trova sfogo nella danza in salotto sulla musica di Richard Strauss, a simulare una parodica direzione d’orchestra, sconfinamento di campo prettamente maschile; le scalate ad alta quota, come fuga dalla dimensione materiale e familiare di costrizione, tentativo quasi ascetico verso un silenzio che non è più repressione).

ANTONIAA dispetto della cultura di regime futurista, Antonia custodiva ancora il romanticismo di quel viandante nella nebbia che si erge, eppure così piccolo al cospetto del sublime creato; dominare lo sguardo “sull’altitudine della civiltà”, afferma Cito Filomarino, come il superamento di se stessa, figlia alto – borghese, poetessa intimista e in simbiosi col miracolo della natura. Il regista definisce la montagna il regno parallelo in cui Antonia provava ad insediarsi per sfuggire a quello umano, cui non sentiva d’appartenere, ma finendo anche qui per scontrarsi con l’impossibilità e l’impassibilità di una accettazione incondizionata.
Ecco perché Antonia poté esprimere “ … La gioia nel cuore come un coltello nel pane” e l’autore de “ … la vita come una muraglia, che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia” poté farle eco. Il regista non ne parla, ma persino la sua rappresentazione in chiave onirica del primo irreversibile incontro di Antonia col “mal di vivere” ha un sapore tutto montaliano: (rin)negata dall’amore totalizzante per l’uomo e la letteratura, si trascina con la mano tesa, quasi sepolta da un tappeto di “foglie accartocciate, riarse”.

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