Regression, di Alejandro Amenábar

Amenábar finisce per dimostrarsi scettico nei confronti del cinema stesso, impegnato in un processo di normalizzazione e appiattimento visivo delle dimensioni dell’inconscio, del sogno, del ricordo

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Si conferma autore di un cinema prepotentemente reazionario Amenábar, nonostante l’apparente libertà espressiva delle forme e dei temi (quantomeno in passato, qui il compassato décor di Regression andrebbe rinfacciato a chi storceva il muso davanti alla presunta ordinarietà della messinscena adottata da Egoyan per lo strepitoso Devil’s Knot) che continua ad alimentare l’entusiasmo dei sostenitori di un cineasta in realtà da sempre impegnato in un processo di normalizzazione e appiattimento visivo delle dimensioni dell’inconscio, dell’immaginario latente, del sogno e del ricordo.

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Da questo punto di vista, questo abbozzato horror paranormale combina una serie di disastri, fornendo un pessimo servizio sia al filone dei film a tematica demoniaca, di cui è una consapevole quanto antipaticissima parodia e operazione di disinnesco, che a quello dei thriller a sfondo psicologico, anch’essi sconfessati senza troppe remore in nome di uno svelamento finale ad effetto difficilmente difendibile.
A furia di raccontarsi scettico nei confronti di qualunque interpretazione, Amenábar finisce per dimostrarsi ancora una volta scettico nei confronti del cinema stesso, e il tentativo di costruire un plot razionale e plausibile in una cornice di horror satanico gli si ritorce contro, annullando il risultato e il tentativo di riallacciarsi a un certo filone di giallo a incastro freudiano da Hollywood classica.

A tenere insieme tutti questi aspetti della vicenda dovrebbe pensarci il detective Bruce Kenner, interpretato da Ethan Hawke con più d’un occhio a Rust Cohle, investigatore impulsivo e dai modi spicci che finisce invischiato in un’indagine che crede essere di incesto, con la giovane Angela (Emma Watson, per nulla convinta) verosimilmente violentata dal padre (David Dencik) in una situazione domestica decisamente borderline. L’ombra dell’abuso rituale da parte di una setta malefica e potentissima si fa sempre più opprimente via via che indizi di natura inequivocabilmente soprannaturale e memorie represse con lo zampino del maligno vengono a galla durante le sedute di ipnosi regressiva a cui lo psichiatra che aiuta Kenner (David Thewlis) sottopone i vari indiziati del caso.

Se non per goffi accenni, Amenábar bypassa clamorosamente tutto l’aspetto religioso, sia iconograficamente che concettualmente, legato alla materia, e non sembra interessato nemmeno a infondere nelle sequenze di visione sotto ipnosi una qualche forza visiva: tutto il suo sforzo va alla costruzione dell’inghippo investigativo, e alla conseguente risoluzione mediante un indizio registrato da subito in maniera subliminale, in puro stile del regista di Apri gli occhi o The others.
Rimane probabilmente soprattutto il disegno di questa cittadina d’America bigotta e gonfia di mille segreti purulenti, sempre grigia e piovosa, ricostruita in realtà in Ontario, anch’essa non certo inedita ma con una certa forte funzionalità: True Detective ha insomma definitivamente ridefinito gli anni ’90 come spaziotempo originario del patto col Diavolo degli States di oggi…

Titolo originale: Regresión

Regia: Alejandro Amenábar

Interpreti: Emma Watson, Ethan Hawke, David Thewlis, Devon Bostick, Aaron Ashmore

Distribuzione: Lucky Red/Adler Entertainment

Durata: 106′

Origine: Spagna, 2015

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