Resina, di Renzo Carbonera

Al canovaccio dell’individuo che arriva nel borgo e sconvolge le regole, si sostituisce un doppio smarrimento, la protagonista confusa sul proprio avvenire e un profondo cambiamento climatico

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Percorsi improbabili e in apparenza impercorribili sono le alternative possibili quando si finisce in un vicolo cieco e le soluzioni attraversano la strada in incognito. Resina racconta di una giovane musicista, Maria (Maria Roveran), delusa dall’esperienza della musica e del mondo lontano dalle montagne dove è nata, decide di fare ritorno portando un presente ed un futuro indeterminato. Nel salto verso le origini trova, in un coro di uomini ormai in disarmo e ridotto a pochissimi elementi, trascinati dall’entusiasmo di Quirino (Thierry Toscan), l’occasione di riscoprire la passione perduta ed un senso d’appartenenza che la stessa comunità sembra avere dimenticato.

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Al canovaccio dell’individuo che arriva nel piccolo borgo e sconvolge le regole della collettività, Renzo Carbonera sostituisce un doppio smarrimento, la protagonista confusa circa il proprio avvenire ed un paese interessato da un profondo cambiamento climatico e privo dei riferimenti tracciati nel tempo per la sopravvivenza, ottenendo la rappresentazione di una reciproca ricerca di orizzonte.

Nel nucleo familiare di Maria composto prevalentemente da donne, ad esclusione di un bimbo, dentro un universo dai connotati maschili, si apre al regista la possibilità di avanzare un discorso di genere allineato ad un momento storico in cui l’argomento è tornato a galla in maniera scottante. L’approccio stesso a partire dalle conquiste più elementari, date per assodate ma invece continuamente in discussione ed esposte a spasmodica e continua guerra di conquista, soprattutto in realtà di piccole dimensioni, lascia percepire l’urgenza dell’argomento.

La storia trattata prende ispirazione dalle vicende del Coro Polifonico di Ruda, un coro friulano nato ai tempi della dominazione austro-ungarica, reinventato negli ultimi anni ed entrato nella top five dei cori maschili migliori del pianeta, diretto appunto da una donna, Fabiana Noro, e quelle stesse voci compongono la colonna sonora del film.

Il film è ambientato e girato a Luserna, su un altopiano isolato dell’arco alpino isolato dove si parla il cimbro, la forma più antica di lingua germanica parlata, abitato da un enclave sparuta di uomini. La montagna riempie con la sua presenza ogni singola inquadratura, una montagna alle prese con le conseguenze del surriscaldamento globale, dall’aspetto rinnovato e insolito, che resta comunque imponente nonostante le nebbie da cui è circondata in assenza di neve, resta il metro strutturale con le atmosfere sospensive di una rarefatta presenza umana. E quell’immobilità che trasuda dalle rocce perpetue, agli antipodi dei frenetici ritmi moderni, nello spazio e nel tempo dilatato delle immagini, alle prese con un cambiamento implicito, prima che esplicito, sembra la visualizzazione di uno stallo post-traumatico, la fine o la perdita d’identità, la difficoltà di accettare un nuovo inizio. Quando si è inchiodati dalla paura, quando le certezze vengono meno, quando riesci solo a balbettare e la vergogna di sbagliare ancora ti frena dal fare il primo passo.

Nel cinema proposto da Renzo Carbonera per questa sua prima esperienza con un lungometraggio di finzione, dopo due cortometraggi, La Penna di Hemingway e La Corsa, restano i detriti del lavoro da documentarista che ne ha segnato l’inizio di carriera, evidente soprattutto nelle riprese degli scorci alpini che si aprono a vista d’occhio. Le difficoltà maggiori di Resina stanno appunto nel cucire la spontaneità di uno sguardo sul reale con i parametri di una scrittura molto fedele al cammino classico dell’eroe in fase di cambiamento.

Regia: Renzo Carbonera
Interpreti:  Maria Roveran, Thierry Toscan, Jasmine Hairhofer, Andrea Pennacchi, Alessandro Averone, Mirko Artuso, Diego Pagotto
Origine: Italia, 2017
Distribuzione: Parthénos
Durata: 90’

 

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