Respiri, di Alfredo Fiorillo

Un thriller allucinato tutto italiano firmato dall’esordiente Fiorillo, con Alessio Boni a dominare la scena: un calderone illogico di oscure presenze ed eventi in stile “kubrickiano”

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Il regista Alfredo Fiorillo, al suo esordio al lungometraggio con Respiri, mette in scena una sorta di intricato rompicapo allucinato il quale, fin dai momenti d’apertura del film, intende costituire “problema” per la visione, nel tentativo del tutto dichiarato di trascinare colui che guarda nel rebus avviluppato dell’esperienza filmica, portando con sé dubbi e domande destinate a rimanere irrisolte. Fiorillo dimostra di conoscere le regole del gioco; di avere imparato nel tempo la prassi asservita a un immaginario da perfetto thriller visionario il quale, senza troppa difficoltà, viene qui servito allo spettatore condito di tutti i suoi cliché, di tutti i suoi percorsi già attraversati in un glorioso cinema di genere, irrimediabilmente ripreso e trasmutato in fantasma.

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Respiri sembra essere costruito deliberatamente per catene – o un’unica catena – di indizi: il film non a caso viene aperto facendo uso di un morbido e dilatato piano-sequenza tutt’intorno alla figura silenziosa e dolente di Milena Vukotic, quando la macchina da presa spazia lentamente per gli ampi e polverosi vani della villa liberty dove si consumerà la vicenda. Anche il primo ingresso nel film del protagonista Francesco (Alessio Boni) non sembrerebbe meno eloquente: arrivato in barca attraversando il circostante lago di Iseo, lo vediamo da subito in un confronto verbale esagitato con una figura non ben delineata – il medico interpretato da Lino Capolicchio – , ripreso da punti di vista obliqui che conferiscono una visione sbilenca e un’idea di spazio schiacciato sui corpi (e le menti) dei personaggi. E se non fosse già abbastanza per un incipit, Fiorillo inserisce da subito anche l’elemento sonoro, grande protagonista della vicenda delirante: il ritmo lento e cadenzato del respiratore al quale è condannata una parente dell’ingegnere in una delle camere della villa, scandisce il tempo del racconto, contribuendo a definire un’atmosfera soffocante e di allerta continua.

Questa partenza talmente carica di fonti d’inquietudine inspiegata viene, tuttavia, protratta lungamente nel corso del film  – un mix di punti di vista deformanti, riflessi sugli specchi, stacchi veloci, suoni stridenti e così via – conducendo all’esito contrario di una perdita di ritmo della tensione e di un senso crescente di ripetizione degli eventi, delle figure e dei dialoghi i quali – per ovvie ragioni – resteranno (anche) nel prosieguo fin troppo criptici.


Nei fatti, dunque, Fiorillo ci concede ben poco dal punto di vista della chiarezza dell’intreccio: l’ingegnere quarantenne Francesco decide di tornare ad abitare con la figlioletta Elisa (Eleonora Trevisani) l’antica villa di famiglia lambita dalle acque del lago di Iseo, nel tentativo di buttarsi dietro le spalle un passato doloroso che ne ha distrutto la famiglia. Con loro abita anche una misteriosa persona della quale percepiamo solo l’eco del respiratore ma, tutt’intorno alla villa, si muovono anche altre sospette presenze – vive, morte, reali o forse no – che arricchiranno la trama di perplessità e incongruenze. Viene allora da chiedersi dove condurrà questo calderone illogico di oscuri personaggi – tra i quali la bambina sembrerebbe essere la figura più inquietante – , dove finiranno i cadaveri abbandonati intorno all’abitazione, che razza di rapporto sia quello – eccessivamente molesto – tra Elisa e l’anziano Giulio (Pino Calabrese) o cosa capiterà infine all’ingenua Marta (Lidiya Liberman), forse unica presenza in grado di liberare la visione – e Francesco – da questo alone soffocante.

Percepiamo, in fin dei conti, un tessuto intrinsecamente kubrickiano al di sotto di questa struttura allucinata, una fedeltà a quell’immaginario straordinariamente labirintico in tutte le sue forme e concezioni, che resta difficile scrollarsi di dosso quando si affrontano i meandri della mente. Fiorillo resta debitore (o forse vittima) di quel cinema e di certi capovolgimenti finali, ma la consapevolezza di una costruzione fittizia della paura impregna ogni cosa, impedendo al ritmo di decollare. Perché la tensione o le angosce della visione non sono mai davvero determinate dai trucchi del mestiere, al contrario dalla capacità di liberarsene all’occorrenza.

 

Regia: Alfredo Fiorillo
Interpreti: Alessio Boni, Pino Calabrese, Lidiya Liberman, Milena Vukotic, Eva Grimaldi, Lino Capolicchio, Eleonora Trevisani, Valentina Cenni
Distribuzione: Europictures e L’Age d’Or
Durata: 87′
Origine: Italia, Polonia, 2018

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