Due settimane vissute di notte, due settimane impigliati tra cinque anelli, due settimane, ogni quattro anni, ad esaltare anche i golfisti… ermafroditi, gare truccate, come prima più di prima, atleti al confino, atleti senza frontiere, atleti senza bandiere… ogni quattro anni, a intervalli regolari e a orari fissi, milioni di individui si sistemano davanti al loro televisore domestico per assistere e, nel senso pieno del termine, partecipare alla celebrazione dello stesso rituale. Un rito celebrato anche per caso, come un “instant movie”, con qualche comparsa davanti a una folla di fedeli che raggiunge talvolta le decine di migliaia di individui ai quali si sommano milioni di “praticanti a domicilio”. Così soprattutto lo sport di squadra, con la rete alta in mezzo, è al tempo stesso pratica e spettacolo, fenomeno sociale che si prolunga nella tensione mai risolta tra professionismo e pratica amatoriale e occasione di riflessione sull’etica del gioco e sulla lealtà tra avversari. Il cinema attende con ansia la fine della maledizione, dopo sei semifinali di seguito in altrettante Olimpiadi e cinque medaglie tra argenti e bronzi, senza mai riuscire a coronare il sogno d’oro. Mondiali, World League ed Europei vinti, dall’immenso Velasco in poi, ma l’oro è una chimera.

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Il cinema attende il gran finale che non arriva e quindi bisognerà accontentarsi ancora una volta di un argento vivo, che non va oltre la realtà dei fatti, che non va a riscrivere quella favola a lieto fine che tutti attendono. Tutti attendono, anche i praticanti a domicilio, razza che si estingue già al terzo lunedì, impigliata ormai tra le oscillazioni dell’oro e del petrolio. Dicono, è stata questione di dettagli, quisquiglie, bazzecole, si ma con la rete in mezzo al campo non ci si può confondere: vinci se sei più bravo, magari solo un pochino più bravo e “casalingo”. Non è come nel calcio, l’unico sport al mondo, dove si vince anche giocando peggio dell’avversario. Dicono, è solo invece questione di numeri: bisognerà giungere probabilmente alla settima Olimpiade perché il miracolo si compia. Sette, come il segno sulle tute ufficiali della nazionale tricolore, sette come sulle divise di Mila e Shiro, due cuori nella pallavolo. Ma ancora una volta l’argento vivo risplende, quell’argento però, per l’ennesima volta, non va oltre la realtà dei fatti: nessuna “poetica” simbologia, quel 7 è il segno distintivo di EA7, la linea sportiva di Armani creata nel 2004 in collaborazione con Andrij Shevchenko, l’allora numero 7 del Milan, e specializzata in abbigliamento tecnico di qualità. Gli azzurri, quindi, da bandiere a cartelloni pubblicitari viventi.

È il solito rituale, ma ora manchi tu… oro. Da ciascun rituale ci si aspetta che si compia e che porti a compimento: che la pioggia cada, che l’epidemia cessi, che i raccolti siano buoni e gli dèi favorevoli. Il rituale ripete ma inaugura, dischiude l’attesa. Nel rituale sportivo l’attesa si colma con la celebrazione stessa: alla fine dei set le sorti saranno decise ma il futuro sarà esistito, frammento di tempo puro, grazia proustiana a uso popolare. E il Paese aritmico della pelota, bradicardico del canottaggio e del ciclismo, si scopre fugacemente anaerobico, che non solo “resiste” ma “schiuma” per almeno circa due ore, ormai ogni 4 anni, e poi ripiombare inesorabilmente nella realtà dei fatti, dell’argento vivo a 60 battiti al minuto.

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