River Phoenix: una vita dal fiume alla fenice

river phoenix in belli e dannatiStrenuo difensore dei diritti degli animali, enigmatico e dal fascino bohèmien, destinato a restare una promessa mancata nell’Olimpo di Hollywood, viene considerato ancora oggi, a vent’anni dalla morte, una delle icone degli anni ’80, bruciato prematuramente da un potente cocktail di droga.

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river phoenix in belli e dannatiLa macchina sfreccia lungo la strada deserta. Scott stringe il volante, i capelli al vento, un sorriso negli occhi. L’ultimo saluto a Mike è il rombo del motore che si allontana. Il cielo è plumbeo, carico di tutto quello che non si riesce ad esprimere ma che si vuole preservare. Mike è fermo, gli occhi fissi a terra, lo zaino in spalle. L’occhio silenzioso e meccanico si alza a volo d’uccello per testimoniare la solitudine di una ricerca che non avrà termine, l’ossessione di una meta che non è altro che miraggio nel deserto sconfinato in cui la natura avvolge il ragazzo, fino a dare l’impressione di inghiottirlo: solo orizzonte indefinito e la sospensione di un attimo eterno. Quello che accade dopo è solo la conferma di una vita negata, quello che sarebbe potuto essere ma non è stato, la scelta di un rifiuto e l’altra faccia della realtà. Questi, alcuni dei fotogrammi che si sono impressi nell’immaginario comune e che vividi tornano alla memoria richiamati dalla stessa eco misteriosa che scaturisce dal corpo e dallo spirito di River Jude Bottom, il “James Dean moderno”.
Si tratta dello spietato finale di Belli e dannati (My Own Private Idaho) di Gus Van Sant, in cui River Phoenix dà prova di una delle sue interpretazioni migliori, che gli vale, nel 1991, l’Indipendent Spririt Award, nonché la Coppa Volpi al Festival del cinema di Venezia. Strenuo difensore dei diritti degli animali, enigmatico e dal fascino bohèmien, destinato a restare una promessa mancata nell’Olimpo di Hollywood, River Phoenix viene considerato ancora oggi, a vent’anni dalla morte, una delle icone degli anni ’80, bruciato prematuramente da un potente cocktail di droga.
1993, la notte di Halloween. River Phoenix è atterrato a Los Angeles. Il Viper Romm è affollato e dal palco giungono i suoni degli strumenti di Johnny Depp e Flea. Ci sono John Frusciante e i fratelli di River, Rain e Joaquin. River è ancora in bagno, esce barcollando, farfuglia parole strascinate, Bob Forrest, ex vocalist e leader dei Thelonious Monster, lo sorregge: “Non mi sento molto bene. Credo di essere fatto”, poi sviene vicino al bar. Una volta all’aperto, il suo corpo si accascia a terra in preda a convulsioni e tremori: sarebbe stata la prima crisi epilettica di cinque. River Phoenix non suonò mai sul palco del Viper Room, non terminò le riprese di Dark Blood e non completò il disco di debutto della sua band Aleka’s Attic, band fondata con la sorella Rain. River Phoenix ha consegnato l’ultimo anelito di vita alle stelle di Los Angeles, su un marciapiede, sotto gli occhi di tutti quelli che lo amavano. River Phoenix
Sulla scia di una storia sempre identica, anche River Phoenix sarà salutato come quel giovane talento sprecato, vittima di un mondo spinto all’eccesso. Tuttavia, se questa era la sua linea di condotta privata, sullo schermo l’attore riusciva a emergere con tutta l’intensità della problematicità dei suoi personaggi, senza ricorrere all’esasperazione, raccontando quella complessità con lo sguardo e i gesti di chi l’ha vissuta realmente: “Potrei interpretare lo stesso personaggio ancora e ancora, in modi sempre diversi. Ogni volta per tutti gli atomi del mio corpo […] Guardo a tutto questo come fossero nuove esperienze, come vivere un numero infinito di vite. Come se si trattasse di una reincarnazione. Il mio personaggio si eprime attraverso di me e in me, non viceversa”, dichiarerà l’attore durante la sua ultima intervista.
Sempre sulla scena con personaggi al limite, estremamente complessi, spesso relitti della società, vittime delle convenzioni, figli di un mondo in cui l’american way of life è stato lacerato come vecchia carta da parati, divorato da quel self made man che aveva contribuito a costruirlo e che ora si decompone ai suoi margini.

A soli dieci anni inseguiva un sogno fatto di celluloide. Primogenito di cinque figli di una coppia hippie, legatasi poi alla setta religiosa I Figli di Dio, River viaggia con la famiglia per l’America, si esibisce in strada con la sorella Rain e partecipa a diversi spot pubblicitari fino a quando la sua esibizione coinvolgente alla Elvis Presley non lascia di stucco il produttore della serie tv Sette spose per sette fratelli, in cui verrà scritturato per il ruolo del figlio più giovane. All’inizio degli anni ’80 si distingue anche per l’interpretazione di Jeffie Crawford in Celebrity e per il ruolo affidatogli di Robert Kennedy Jr. in Robert Kennedy & His Time, entrambe miniserie televisive. Dopo il film Sopravvissuti girato per la televisione, viene scritturato nello sci-fi Explorers di Joe Dante, al fianco di un giovanissimo Ethan Hawke. È il 1985 e River è al suo primo grande contributo cinematografico. Un anno dopo si calerà nei panni del problematico adolescente Chris Chambers nella toccante pellicola Stand By Me – Ricordo di un’estate di Rob Reiners, tratta da un soggetto di Stephen King. Dark BloodSolo tre anni dopo, nel 1988, riceve una nomination all’Oscar come Miglior attore non protagonista per il suo ruolo in Vivere in fuga diretto da Sidney Lumet. In seguito vestirà i panni del giovane Indy nel terzo capitolo dedicato alle avventure dell’impavido archeologo, nello spielberghiano Indiana Jones e l’Ultima crociata. Il giovane River alterna quindi interpretazioni in film di modesto rilevo ad altri come la commedia di Lawrence Kasdan Ti amerò… fino ad ammazzarti, per poi approdare al cinema indipendente, quando su tutte spiccherà la collaborazione con Gus Van Sant. Il regista del Kentucky lo immortala per sempre nel corpo di un ventenne gay, tossicodipendente e narcolettico, alla disperata ricerca materna. Tre furono le relazioni sentimentali importanti, quelle con le colleghe Martha Plimpton, Samantha Mathis e Suzanne Solgot.
Sostenitore dei diritti umani e ambientalista convinto, River Phoenix era stato considerato per pellicole cinematografiche che segnarono invece le carriere di altri. Tra queste si ricordano Poeti dall’inferno, Ritorno dal nulla e Intervista col vampiro, affidate poi rispettivamente a Leonardo di Caprio e Christian Slater. Rifiutò il ruolo di Eric Draven ne Il corvo del 1994, avrebbe dovuto interpretare il figlio di Susan Sarandon in Ritrovarsi e non fu mai Cleve Jones nel futuro Milk di Van Sant.
Di River Phoenix restano numerosi omaggi musicali e il luccichio di un mondo che ha contribuito a congelarlo per sempre in quell’aria trasognata di maudit et perdu, il cui ricordo sparso aleggia sulla sua terra in onore di quella fenice araba e di quel fiume vitale che gli danno il nome, in un connubio senza tempo e senza fine, come ricorda Omar Pedrini nella sua River (My Own Private Idaho): “Dove corri River, dov’è il fiume che, che correva dentro te/ dove vai River? Dove ti rivedrò?

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