ROCKY BALBOA STORY – Rocky IV, di Sylvester Stallone

Assunto a simbolo plastico degli anni ottanta reaganiani, Stallone sente il dovere di esportare la parabola di Rocky a tutti, trasformando il loser con grandi sogni impossibili nell’eroe dei due mondi

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La strada intrapresa con Rocky III per adeguarsi al decennio è ormai conclusa e Rocky IV è l’immagine di una metamorfosi: il loser da periferia con grandi sogni impossibili è diventato l’eroe dei due mondi. Stallone è arrivato al blockbuster e con questo quarto capitolo (la sua quinta regia) strappa il suo “miglior amico immaginario” dalle palestre e dai ring di Philadelphia per donarlo a tutti. Come i personaggi dei racconti antichi, che lasciano l’amato villaggio perché pronti per andare verso avventure sconosciute, cosi Rocky, finite le sue missioni in casa, deve salvare il mondo.

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Il richiamo della Realtà è troppo forte e come Capitan America a caccia del nazista Teschio Rosso o il Batman di Una morte in Famiglia contro il Joker ambasciatore di Khomeini, Balboa entra con forza nella Storia Contemporanea per diventare altro. Assunto (superficialmente?) a simbolo plastico degli anni ottanta reaganiani (in un binomio granitico con l’altra maschera stalloniana Rambo, il cui secondo episodio arriva nelle sale sempre nel 1985), Stallone sente quasi il dovere, forse per l’enorme successo che la saga continua a riscuotere, di esportare la parabola di Rocky. Nella sua epica viscerale, nel suo riuscire a sconfiggere il nemico, perdonarlo e farsi acclamare come salvatore da tutti, risiede l’immagine pura di un eroe americano, il protagonista di una narrazione positiva/favolistica che vede in Stallone, con il suo sincero e commovente ecumenismo, il figlio degli Stati Uniti migliori, ben diversi anche da quelli del Presidente cowboy (quanto ci sarebbe da ragionare sugli errori della miope assimilazione ideologica-immaginaria Sly-Reagan…)

A Stallone non interessa fare crociate, non vuole raccontare una storia che parla di Noi contro Loro. Anche se nella sua (perfetta) costruzione narrativa i “rivali” sovietici sono per lo più superfici, il mitologico Ivan Drago di Dolph Lundgren, più simile a un Terminator che a un essere umano,è circondato da ambigui personaggi collaterali (con la subdola Brigitte Nielsen poi diventata moglie dello stesso Sly), e nonostante il motore della storia, la morte di Apollo (seme germinale del Creed di Ryan Coogler) sia, di fatto, una delle scene più crude e strazianti di tutto il suo cinema, Stallone non fa l’elogio ottuso di una Terra promessa contrapposta al Male.

Il disgusto dei russi di fronte alle scenografie mastodontiche orchestrate da Apollo (con James Brown in persona chiamato a esibirsi), la rabbia davanti alla sua arrogante e ossessiva voglia di umiliazione attraverso lo spettacolo, sono emozioni molto vicine allo sconcerto che prova lo stesso Rocky nei confronti delle scelte del suo rivale/amico. E’ sempre Balboa, infatti, a non comprendere mai il senso della folle esibizione di Creed e in quel commovente elogio funebre recitato di fronte al suo feretro, c’è più la consapevolezza intima di salutare un amico che si è bruciato da solo come una cometa che la rabbia rancorosa di chi si sente una vittima. La morte di Apollo è per il mondo di Rocky evento epocale e come tale deve essere vendicata (come ogni uomo giusto deve fare) ma il desiderio del pugile di scappare dalla sua villa, dal lusso e dalle sue effimere inutilità (quel robot-maggiordomo, ancora oggi, vetta dell’umorismo stalloniano) per ritrovare nell’innevata campagna russa la forma e la concentrazione adatte al combattimento (in un particolare ritorno alle origini per riacquistare la propria genuina verginità atletica) vale tantissimo. Dopo aver sconfitto il Drago del regime, Rocky non umilia, non sfotte i suoi avversari. Anzi, aprendo il suo abbraccio di vittoria a tutto il popolo russo, in un commovente gesto evangelico, conferma la sua voglia di farsi riconoscere e riconoscere l’altro, in un rapporto paritario, restituendo al truce e sanguinario nemico la dignità umana di avversario.  Per anni ci si è divertiti a indicare Rocky IV come l’inizio della fine della guerra fredda, la prima crepa sul muro di Berlino, ma al netto dello scherzo ideologico o dell’esagerazione sarcastica, non pensiamo che ciò sia cosi lontano dalla Verità.

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