ROCKY BALBOA STORY – Rocky V, di John G. Avildsen

Nel quinto capitolo il Balboa di Stallone smette i panni della celebrità per tornare a essere il campione della gente, rispolverando cappello e giacca di pelle.

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“Even Rocky had a montage”
(Montage, Trey Parker)

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Durante la lavorazione di Rocky Balboa, poiché nessuna arena era disponibile per girare il combattimento finale fra Rocky e Mason Dixon, Sly decise di appoggiarsi a un evento organizzato dalla HBO al Mandalay Resort & Casino di Las Vegas, con un’invenzione degna di Ejzenštejn: non appena varcato il sipario, Stallone si sarebbe trovato davanti a un pubblico vero, accorso per assistere all’incontro fra Bernard Hopkins e Jermaine Taylor, correndo il rischio di venire subissato dai fischi; la folla, a dire il vero, venne giù in una standing ovation e inneggiò spontaneamente al suo eroe. A dimostrazione che la popolarità del Mito stalloniano è ben lungi dall’appartenere solamente al regno della finzione cinematografica, ennesima conferma del potere affabulatorio e mitopoietico del cinema.
Citando Paulie a proposito dell’ingrato Tommy “Machine” Gunn, che dopo aver vinto il titolo mondiale ringrazia l’avido promoter George Washington Duke al posto del mentore Balboa,“Questo spettacolo fa male agli occhi”… e al cuore: John G. Avildsen, maestro assoluto del Bildungsroman sportivo (non solo Rocky, ma anche Karate Kid), ci lavora ai fianchi e girandoci intorno con un balletto incessante di immagini pesanti quanto martelli pneumatici ci manda al tappetto con uno street fighting finale che è come se i guerrieri di Walter Hill avessero fatto irruzione sul set di West Side Story. Rocky V è un sovrapporsi di sguardi attraverso le dissolvenze incrociate delle ormai mitologiche sequenze d’allenamento: lo sguardo di Rocky che vede attraverso gli occhi del figlio e quello di Adriana che incassa i colpi insieme al marito; oppure il montaggio parallelo di uno sguardo che vorrebbe staccarsi da quello del proprio maestro e di un altro che invece desidera ricongiungervisi. Una fine, insomma, specialmente per una certa nozione di famiglia (nel lasso di tempo fra questo film e Rocky Balboa, Adriana morirà e Robert Balboa Jr. – interpretato da Milo Ventimiglia e non più dal vero figlio di Stallone – cercherà di allontanarsi dall’ombra del padre), ma anche e soprattutto un nuovo inizio: Rocky, perdendo la sua ricchezza per colpa di una frode, smetterà i panni della celebrità per tornare a essere il campione della gente, rispolverando cappello e giacca di pelle del primo film.
Eppure Rocky V fu un fiasco, sia critico che di pubblico (guadagnò un terzo del suo predecessore); Stallone, che avrebbe voluto far morire il suo personaggio, si dichiarò talmente insoddisfatto da girare lui stesso, sedici anni dopo, una nuova conclusione della saga con l’ultimo, splendido Rocky Balboa (nei cui flashback riassuntivi non compare per altro Rocky V).

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