#RomaFF11 – Noces, di Stephan Streker

Una pellicola che ha il pregio di mettere in scena un dialogo culturale mostrandone tutte le facce. Fin troppo celebrale nelle sue intenzioni, ma ben riuscito nel porre dubbi allo spettatore

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Nella famiglia di Zahira adattarsi ai tempi che cambiano significa scegliere il marito via Skype e celebrare il matrimonio per telefono. Qualsiasi altra libertà è considerata impensabile anche se la ragazza ha 18 anni, vive in Occidente e con le sue origini in Pakistan non ha molti punti di condivisione. Quando scopre quindi di essere incinta di un ragazzo che non è pronto a prendersi le sue responsabilità, si trova davanti come unica via d’uscita quella di cedere ad un matrimonio combinato che accontenti tutta la sua comunità. Questo è quello che noi (occidentali) consideriamo una grave mancanza di libertà individuale, appare così una concessione più che magnanima da offrire ad una donna.

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Il più grande pregio di Noces è chiedere per un momento allo spettatore di mettere in discussione la convinzione che se una cosa è giusta lo è esclusivamente per il suo valore assoluto; smettere di credere che si faccia parte sempre dello schieramento migliore. Perché infondo si arriva sempre allo stesso punto con questo tipo di pellicole: una dialettica binaria in cui si deve decidere per forza da che parte stare e se, anche per un solo minuto, la scelta non sembra poi così scontata vuol dire che si è centrato un certo tipo di obiettivo che è alla base della stessa ragion d’essere di un film del genere. 

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Il dialogo messo in campo dal regista Stephan Streker ed affidato alle uniche due persone mature del film (il padre pakistano ed il padre belga) sottolinea quanto sia presente un’intenzione forte di inscenare una mediazione culturale che spesso viene sottovalutata nella corsa al giudizio assoluto. Purtroppo è forse proprio in questa urgenza nel motivare ogni azione e la sua ripercussione che si perde la componente emotiva di Noces che non riesce del tutto a creare quell’empatia con la protagonista che era necessaria affinché il risultato finale fosse incisivo per lo spettatore. La perfezione con cui ci si svincola dal cercare di non prendere subito posizione sfugge al controllo solo in alcuni momenti che restano quelli migliori del film. Le figure ambigue del fratello protettore e della sorella rassegnata alla tradizione confermano quanto si potesse maggiormente calcare la mano sulle sfaccettature di una discussione che sembra sempre essere fin troppo impostata. Il risultato rimane comunque notevole e, sebbene la condanna finale arrivi in maniera forte, il percorso che l’ha generata non è scontato.

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