#RomaFF11 – The Last Laught, di Ferne Pearlstein

Il documentario di Ferne Pearlstein ridendo si chiede se si può ridere dell’Olocausto. Con Mel Brooks, Sarah Silverman, Jerry Seinfeld, Ali G., Larry David…

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Theodor Adorno in una delle sue più celebri sfilettate affermava come la poesia, dopo Auschwitz, fosse un atto di barbarie. Probabilmente non aveva ancora visto Per favore non toccate le vecchiette di Mel Brooks o i dissacranti monologhi di Sarah Silverman. O le  dialettiche negative di Ali G, gli sketch di Jerry Seinfeld e Larry David o i libri di Etgar Keret. Tutto questo e molto altro ancora costituisce l’enorme serbatoio di risate che molti comici ebrei hanno costruito in diretta relazione verso la dittatura nazista e al meccanismo di distruzione di un’intero popolo. E se la poesia risulta inconcepibile come può essere giustificata la risata?

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Il documentario di Ferne Pearlstein tenta di rispondere ad una domanda così spudorata disegnando una cartografia della comicità sull’Olocausto, andando ad intervistare uno ad uno gli Atlanti della scorrettezza, e sovrapponendoci sopra come un foglio di carta lucida le testimonianze dei sopravvissuti. Di chi quotidianamente deve fare i conti con le indelebili immagini del proprio passato e deve scegliere se vivere nei ricordi o andare avanti sconfiggendo i demoni hitleriani ridendogli di gusto in faccia.

Non possiamo lasciare che Hitler ci tolga anche la gioia di vivere” dice una delle anziane protagoniste sopravvissute ad Auschwitz. Lei, unica della sua famiglia a tornare dai campi di concentramento, ricorda quanto all’interno di queste fabbriche della morte in realtà il sorriso fosse uno dei pochi antidoti alla disperazione e l’unica via che non portasse alle camere a gas. A sottolineare ciò Pearlstein inserisce dei documenti video inediti che riprendono delle recite organizzate dentro i vari campi di sterminio, uno spettacolo straniante per la sua quieta normalità in un luogo così disumano. In uno sgranato bianco e nero sul palco di uno sgangherato teatrino si susseguono coreografie, numeri comici, canzoni popolari accompagnate dal battimani del pubblico. Tutto come in una scuola senza finestre. Pochi di quei bambini sarebbero poi tornati alle loro case una volta finita la guerra, tutti loro però concordano nel dare una suprema importanza a quegli atti di fantastica ribellione. Robert Clary, che prima di diventare una star comica della Tv francese e successivamente di Broadway è sopravvissuto per miracolo dentro il campo di Ottmuth, ammette che aver fatto il buffone gli ha salvato la vita. E cosa ancora più importante ha imparato che ridicolizzare il male è l’unico modo per disinnescarlo, per renderlo inoffensivo. Così come Chaplin giocava con il mappamondo fino a farlo scoppiare così le risate più fragorose infrangono i vari tabù che ci portiamo dietro e che sono da sempre i migliori alleati di chi vuole comandare, schiacciando e umiliando l’altro. Oggi come allora l’arma più affilata contro la tirannia rimane la satira, la caricatura, perché come già ammoniva Bakunin, una risata vi seppellirà. Quindi Adorno, se non vuoi ascoltare poesie almeno raccontaci una barzelletta. Sull’Olocausto.

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