#RomaFF12 – Incontro con Michael Nyman

Incontro con il compositore delle colonne sonore di Lezioni di piano, Gattaca, Il mistero dei giardini di Compton House, che si sofferma sul rapporto profondo tra strutture musicali e immagini

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Sullo schermo si susseguono le immagini di Lezioni di piano, Gattaca, Il mistero dei giardini di Compton House, accompagnate dalle bellissime colonne sonore così immediatamente riconoscibili. Un biglietto da visita a dir poco prestigioso anticipa l’entrata in scena di Michael Nyman per il suo “incontro con il pubblico” alla Festa del cinema. Una bella e libera chiacchierata con il grande compositore inglese che si sofferma soprattutto sul rapporto profondo tra strutture musicali e immagini. Sì perché Michael Nyman è anche un regista (sperimentale) oltre che un (notissimo) compositore di musiche per film, quindi la sua testimonianza assume istantaneamente un valore teorico passando dalle sonorità “pensate” alle immagini “filmate” e illuminando una pratica filmica ampiamente sperimentata.

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Non vorrei anche in questa sede inoltrarmi nella definizione di Minimalismo. Se ne è parlato sin troppo in questi anni. Voglio solo portare qualche testimonianza del mio lavoro, forse in questo modo si comprende meglio il concetto. Esempio: prima di venire qui a Roma ero in Polonia e ho girato un brevissimo film. Ero in una stanza d’albergo, avevo quasi finito di fare le valigie, quando vedo dalla finestra un addetto alla pulizie dei vetri. Una solida impalcatura lo sorreggeva e lui, sospeso nel vuoto, eseguiva i suoi gesti ripetitivi e ritmati pulendo con dovizia le finestre dell’albergo. Io lo filmavo. Ci siamo anche salutati a un certo punto. Ecco: filmare la vita e trovarne le sue strutture nascoste è un po’ il cuore del mio modo di fare film. In questo caso il processo di trasformazione da girato a montaggio finale sarà solo quello di aggiungere le musiche e i titoli di coda. Ovviamente non è sempre così, ma cogliere la vita sul fatto è quello che mi interessa come regista“.

NymanLe domande degli interlocutori Mario Sesti e Francesco Zippel si concentrano proprio su questo fertile scarto tra immagine e musica e sulle sue implicazioni nel lavoro di Nyman: “io ho iniziato a fare il regista nel 1967, nell’estate dell’amore, a Londra. Il film si chiamava Love, Love, Love ed è un montaggio di riprese di manifestazioni contro la guerra in Vietnam che girai io stesso. Mi ricordo che portai tutto il materiale dal mio amico Peter Greenaway e lui mi disse “Michael il girato è una cosa, il film è tutt’altra cosa. Devi trovare una strada, un punto di vista, un montaggio che sappia cogliere ciò che vuoi dire”. Da lì sono partito. Un’altra esperienza fondamentale è stata scrivere musica per le immagini di Dziga Vertov. Ho pensato molto spesso ai miei film e alla mia musica con il ritmo vertoviano del montaggio“. Connessioni ideali sperimentate anche qui a Roma: “è successa una cosa strana e bella ieri. Ho chiesto ad Antonio Monda di consigliarmi un film da vedere quel giorno, lui mi ha parlato di Mademoiselle Paradis di Barbara Albert. Un film su una pianista non vedente. Sinceramente leggendo la sinossi ero molto dubbioso, noi musicisti di solito diffidiamo dai film sui musicisti, perché raramente colgono l’essenza del processo creativo. Questo film invece mi ha totalmente rapito, ero incredulo. Ma nel frattempo questa storia era per me molto familiare. Allora ho pensato alla musica che ho scritto per un film di nome Mesmer del 1994, una storia intimamente e idealmente collegata a quella raccontata dal bellissimo film di Barbara Albert. Esperienza quindi che ho ritrovato nel mio passato e ho rivissuto con forza. Molte delle mie composizioni musicali si originano in questo modo, hanno origine in forti esperienze vissute. Alcune colonne sonore le scrivo velocemente, altre sono molto più sofferte, come quella di Lezioni di piano. Ma tutte hanno un’origine, un sentimento personale“.

Sullo schermo si vedono ora i frammenti di un film di Nyman di nome Privado, film girato alla fine degli anni ’90:in Messico, durante una rappresentazione napolenica che faceva un gran rumore. Ma quella rappresentazione in costume non si vede mai, mi interessava questa bambina che si copre le orecchie per il rumore e il movimento delle persone intorno a lei, così ritmato. Insomma io piazzo la macchina da presa sul mondo e cerco invisibili connessioni con le strutture più ampie della vita. Perché sono convinto che dietro ogni semplice superficie è nascosta una storia più grande“.

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