#RomaFF12 – Incontro con Vanessa Redgrave e Carlo Nero

L’attrice inglese non vuole parlare di cinema, del suo esordio alla regia e neanche del passato. Il suo cuore e la sua lotta è con i rifugiati che arrivano in Europa, e soprattutto con i bambini

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Vanessa Redgrave ha un raffreddore. Indossando una sciarpa blu che le copre il collo, jeans e scarpe di ginnastica e accanto al suo figlio Carlo Nero, arriva a passo lento e chiedendo scusa per il ritardo (di cinque minuti) alla conferenza stampa di Sea Sorrow, il suo esordio alla regia. Anche se a questo punto l’attrice inglese è diventata una leggenda, non ha per niente l’atteggiamento di una star; infatti, sembra che non si trovi a suo agio con le foto e l’ovazione che comincia a scatenarsi nella sala Petrassi. “Basta, grazie mille, ma basta di applausi per favore!” dice a un certo punto, alzando la mano, l’ attrice, produttrice e regista.

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Vanessa non vuole perdere il tempo. Lei non è qua per parlare di cinema, della sua carriera o della sua esperienza come regista, nemmeno per lasciarsi adorare; l’unica cosa urgente è approfondire la problematica politico-sociale di cui parla il suo documentario – realizzato insieme al figlio – e che per lei è diventata una lotta personale: la situazione dei rifugiati che arrivano sulle coste europee, specialmente i bambini. Dopo uno starnuto molto elegante e discreto, e senza aspettare una domanda, incomincia a parlare: “Non è soltanto la mia lotta, tutti i miei colleghi portano questa causa nel loro lavoro, per esempio l’altro giorno Benedict Cumberbatch – sapete chi è, vero?- faceva Amleto al teatro, ed ogni sera dopo gli applausi diceva: questo è per i rifugiati. In Inghilterra è naturale, come la notte e il giorno, ma secondo il governo la situazione è “hopeless”, senza speranza. Siamo in tempi pericolosi per la nostra democrazia, perché i nostri governi non vogliono dare aiuto e seguire la legge che dall’anno 51 protegge i profughi”.

A questo punto, chiederle cosa l’ha spinto a girare questo documentario sembra banale; per fortuna, lei ce lo vuole raccontare: “La cosa che mi ha colpito di più è la famosa foto del bambino morto sulla spiaggia, dove i ricchi fanno vacanza e arrivano con i loro yacht. Dobbiamo ringraziare questo fatto, altrimenti nessun avrebbe fatto questa fotografia. La cosa peggiore è che nessuno ha aiutato la sua famiglia, nemmeno gli hanno pagato un biglietto per venire a trovare al piccolo. Per me, è l’esempio più orrendo d’inumanità.”

Ma chi è il vero responsabile di questa situazione? Vanessa non punta ai soliti

seasorrow-1064x798sospetti: “Ci sono alcuni politici, alcuni deputati che si comportano come gente onesta, che fanno quello che dovrebbero a livello civile. Per esempio, Angela Merkel, è molto onesta e ha un forte senso di responsabilità, e ha fatto l’accordo di ricevere più di 1 milione di rifugiati nel suo paese“. Poi rimane in silenzio per un attimo, fissa lo sguardo e sentenzia: “siamo tutti in grande pericolo, tutti possiamo diventare profughi, non abbiamo salute gratuita, educazione, i vecchi non hanno diritti… sto raccontando la storia del mio paese ma anche del vostro”. Adesso Carlo Nero prende la parola: “Attraverso il nostro viaggio abbiamo visto tante storie, conosciuto tante persone. Tutti possiamo diventare rifugiati, anche un capo di stato, può capitare a chiunque”. 

Vanessa vuole sentire il pubblico. Alza la voce e ci chiede: “Allora, chi mi fa una domanda?” Silenzio assoluto. Poi, insiste. La prima domanda – dove qualcuno dice che quasi tutti vogliamo aiutare i rifugiati, ma nessuno fa niente – la lascia perplessa. Lei non è d’accordo: “Dici te? Non penso sia così, per niente. Conosco tante persone, so che ci sono tanti che aiutano in diverse forme, anche minime, ma la volontà c’è. Pero va bene, te hai la tua opinione, io ne ho una assolutamente diversa. Domanda seguente?” “Penso che i rifugiati vogliano essere trattati come persone normali, non con pietà”, sentenzia un coraggioso e giovane giornalista. “Oh, caro mio”, risponde la Redgrave, “mi sa che te non capisci bene … sai cos’è il traffico sessuale, giovani di sei anni che vendono il loro corpo, genitori che non hanno soldi neanche per mangiare e devono vendere i loro figli, io l’ho visto anche in Italia. Io e Carlo abbiamo una ONG, Safe Passage, dove vediamo tanti casi terribili… pensi che loro siano preoccupati di essere trattati come vittime? Loro vogliono non essere chiamate prostitute!”

La seguente domanda, che fa un paragone tra la situazione dei perseguiti degli anni 30, ebrei, zingari, e la problematica oggi, non va molto meglio. Adesso è l’attrice a fare delle domande: “Scusa, ma te hai visto il mio film?”  “Non ho avuto ancora il piacere”, risponde il giornalista. “Ma io pensavo che tutti voi lo avevate visto! Allora, cosa studi?” “Cinema è ho studiato lettere”, dice il ragazzo con un filo di voce. “Ah, ok. Ma ti prego, se vai a vedere il mio documentario, guardalo sul grande schermo e non con il cellulare o il computer. Sai perché? Perché queste nuove tecnologie stanno danneggiando i cervelli, tutti camminano guardando nei loro piccoli schermi e si perdono tutto ciò che accade nel mondo”. 

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