#RomaFF12 – Insyriated, di Philippe Van Leeuw

Il regista porta sul grande schermo la tragedia siriana con un approccio visivo al conflitto lontano dalla trincea tradizionale, mimetizzando la guerra sotto un’eco di morte

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Il film Insyriated è stato presentato al Festival Internazionale di Berlino dove ha ricevuto il Premio del Pubblico nella sezione Panorama. Il regista belga Philippe Van Leeuw ha deciso di portare sul grande schermo la guerra siriana, affrontandola da un punto di vista diverso, rifuggendone dal lato cruento, dai corpi mozzati di una trincea che non ha più ragione di essere data la vicinanza ormai più alla guerriglia che non al conflitto di stampo novecentesco.

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Sceglie di farne arrivare l’eco macabra, girando interamente in interno, un appartamento nel quale quel che rimane di una famiglia è rintanata senza avere una sostanziale via di fuga, orfana soprattutto delle componente virile, figli o mariti impegnati nella battaglia, nel solco del binomio tradizionale guerra=forza. Un ritorno alla barbarie, un arretramento verso l’inciviltà che tronca di netto progressi ottenuti in un lasso di tempo lunghissimo. Torna in dubbio ogni processo di emancipazione portando in primo piano quel matriarcato chiamato ad accudire la casa costi quel che costi, in una difesa ad oltranza nel tentativo di creare una zona franca. Sono i deboli i personaggi al centro della storia, in assena della componente maschile restano, le madri, i vecchi, i bambini, gli adolescenti con i loro sogni. Sono loro la merce umana destinata ai vincitori, esposti al sopruso, alla sete di vendetta per placare il piacere sfrenati di uomini finiti preda della follia con nervi agitati da impulsi compromessi, sprovvisti di pietà, segno interpretabile come sintomo di stanchezza.

La scarna colonna sonora sente poco il bisogno di hit o brani trascinanti riducendosi a brevi comunicati radio o al fragore delle bombe, ed il tempo stabilito di default dal ritmo della mitragliatrice. Un cambio di sguardo che mette in prima linea la ricerca di equilibrio nel disordine della paura con la morte incombente nonostante ogni gesto sia dettato dall’esigenza e sia ridotto alla soddisfazione dei bisogni primari mettendo fuori dalla porta il superfluo essendo tutto finalizzato alla sopravvivenza. Con il passare dei minuti la furia del sangue fa dei continui passi avanti e grida sempre più forte la sua richiesta di tributo, mette a nudo la fragilità di un avamposto indifendibile lasciando la soglia priva di difese.

In un territorio disseminato di cecchini, insicuro al minimo passo fuori dal perimetro stabilito, le risorse con l’esterno sono affidate ai media, peraltro instabili, a tracciare un parallelo con le società occidentali abituate a guardare la guerra nel suo mondo ovattato, con l’aggiunta dell’evidente paradosso di non potere attraversare la soglia di casa per non finire nel mirino di un assassino, impotenza opposta ad indifferenza.

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