#RomaFF12 – Logan Lucky, di Steven Soderbergh

Come sempre in Soderbergh il bluff e il trucco non raccontano mai solo un’esibizione di maestria ma si tramutano in gesto politico con cui farsi beffe del potere, dell’industria e del cinema stesso.

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Dopo quattro anni di pausa dal grande schermo – ma in mezzo ci sono stati capolavori per la tv come Dietro i candelabri e le due, strepitose, stagioni di The KnickSteven Soderbergh torna a firmare un “lungo” con cast hollywoodiano e distribuzione in sala. Sceglie una nuova variazione sul (suo) tema: la rapina in banca, o meglio il colpo grosso, anche se stavolta il malloppo non è quello di Las Vegas ma i miliardi di banconote sparate nei condotti sotterranei della Nascar durante la corsa automobilistica Coca Cola 600. Ah quanti soldi soldi nascosti! E come scorrono veloci… siamo davvero nell’ultimo step materiale possibile nell’epoca della virtualità, dei bonifici online e delle carte di credito? Di sicuro per Jimmy Logan (il fedelissimo Channing Tatum, qui ingrassato, malinconico, bravissimo), operaio divorziato con una figlia che lo adora e ingiustamente licenziato per una zoppia, è l’ultima possibilità per riprendersi la rivincita su un mondo da cui sembra tagliato fuori. Senza cellulare, computer e pagine social, ha bisogno di soldi “veri” come un uomo d’altri tempi. Così mette insieme una banda improbabile quanto lucidamente “rivoluzionaria” e indipendente. Un branco di looser che nessuno prenderebbe sul serio ma abbastanza incazzati, e disperati, per arrivare fino in fondo. C’è il fratello Clyde (Adam Driver), che ha perso un braccio nella guerra in Iraq, il detenuto Joe Bang, esperto di esplosivi e di tinte bionde (e che ha l’aspetto rude e allo stesso tempo autoironico di Daniel Craig), i due scemi fratelli di quest’ultimo e poi la terza dei Logan, Mellie, che dona effervescenza e tocco femminile alla squadra, messa nero su bianco dalla sceneggiatrice Rebecca Blunt.

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Soderbergh shakera il divertissment con la solita eleganza. Diverte e si diverte mescolando il country con le sonorità soul dance di David Holmes e a volte fila talmente tutto liscio che sembra persino annoiarsi da solo. Ma alla fine della giostra è il primo a essere consapevole di non essere più lo stesso cineasta del 2001 (quello di Ocean’s Eleven). E non è lo stesso mondo, nè la stessa America. Inserisce così delle minime deviazioni rispetto alle “regole del gioco”, scarti e frammenti di un’umanità che, oggi, deve soprattutto pensare alla sopravvivenza dei sogni e dei sentimenti. Ecco che la scena in cui la figlia di Jeff canta Country Road sotto gli occhi del padre si mangia, in un colpo solo e con una semplicità quasi imbarazzante, quasi tutto il cinema sfornato a Hollywood negli ultimi anni. Del resto ci bastano pochi minuti per capire che Logan Lucky è una corsa spassosissima in cui però dobbiamo lasciar perdere le tinte pastello delle giacche di Brad Pitt o l’aplomb da vecchia star del cinema di George Clooney. Anche perché da allora sono passati sia l’11 settembre sia il crollo di Wall Street e l’urgenza adesso è soprattutto mantenere uno sguardo onesto sull’America ferita, che si ingegna (come il suo autore) per fottere il Sistema. Insomma siamo in pieno proletariato ed è qui che l’operazione ludica di Soderbergh si fa necessaria e a modo suo personale. Come tutto il suo cinema, il bluff e il trucco non raccontano mai solo un’esibizione di maestria ma si tramutano in piccolo gesto politico con cui farsi beffe del potere, dell’industria e del cinema stesso. Soderbergh lo sa da sempre. Per questo è un regista geniale. Ed è talmente onesto da fare un film come Logan Lucky senza sentirsi (e farci sentire) in colpa.

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