ROTTERDAM 2005 – Uno tsunami di immagini…

E' il festival che apre l'anno, appuntamento principe del nord Europa, internazionale con vocazione per l'underground e per il cinema orientale, ma un programma sconfinato rischia di far perdere al Rotterdamfilmfestival l'identità costruita negli anni

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Rotterdam è una macchina di cinema che propone più di 220 ore di proiezioni al giorno, suddivise in 22 sale tutte nella zona della Central Station, che possiamo chiamare centro solo per l'aggettivo della stazione ferroviaria in una città rasa al suolo nella Seconda guerra mondiale, interamente ricostruita secondo disparati avveniristici sublimi criteri architettonici.

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Due le multisala: Pathé e Cinerama, con sette sale ognuna, il cine/teatro Lantaren/Venster con quattro, una nella struttura del Doelen (anche reception per gli accrediti, sala stampa, uffici), più il mitico cineclub Zaal de Unie con sedie in legno schermo piccolo ma atmosfera impareggiabile. A ciò aggiungete il CinemArt, luogo d'incontro per produttori internazionale, dove agli script già selezionati si aggiungono i tanti di registi più o meno giovani alla ricerca di finanziamenti per i loro progetti; e un'altra serie di locations che negli undici giorni del festival propongono mostre parallele di fotografia, architettura, arti visive, meeting…


In questa struttura si ci ritrova a rincorrere un programma "esploso" che si divide in diciassette sezioni, con un solo concorso (Tiger Award) dedicato ad opere di giovani autori e opere provenienti da più di 60 Paesi diversi. Molti dei film sono già stati proiettati a Cannes, Venezia o altri festival internazionali e già recensiti su Sentieri Selvaggi come Ferro 3 e Samaritan girl ( inedito in Italia ma alla Berlinale 2004) di Kim Ki-Duk; Cafè Lumiére di Hou Hsiao-Hsien; The World di Jia Zhang-ke; ma anche 2046 di Wong Kar-Way, L'Intrus di Claire Denis; Clean di Assayas…) sparpagliati in cartelloni dedicati ai maestri (Kings & Aces), Cinema del Mondo e Cinema del Futuro. Tre le retrospettive, dedicate al regista francese Benoit Jacquot (Sade; Tosca), al giovane russo Yevgeni Yufit, praticamente inedito in Italia e una all'artista Anri Sala. Più un ricordo, con retrospettiva completa, dello scomparso Theo Van Gogh. Un omaggio ad UchidaTomu, director del cinema giapponese morto nel 1970, che negli anni '50 (le opere girate prima della Guerra sono state quasi tutte distrutte) ha lavorato spesso per la storica casa di produzione Toei. Cinema eclettico il suo, spesso in costume, in cui si riconoscono le influenze di Kurosawa, Ozu, Mizoguchi, che convivono in storie molto diverse tra loro come i generi che condensano.

Ma ogni elenco del Rotterdamfilmfestival è troppo per un solo articolo (e festival…), anche per quanto riguarda il cinema del passato troviamo gli Screen Test di Wahrol con i volti della Factory (Lou Reed, Nico, la Sontag…) che si condensano ed evaporano sullo schermo per l'intera durata di un rullo (vetta esteticaerotica del festival chiusa – con gli occhi chiusi di – Blow Job) e l'infinito Detour di Ulmer…


Rotterdam quindi sogno di ogni cinefilo, deriva continua per eyes wide-shut….Tsunami di cinema!?…


Se guardiamo al suo fratello minore (per budget) il festival di Torino (ad accomunarli contribuiscono anche uno Spazio Olanda e Spazio Rotterdam) è evidente che a Rotterdam non solo manca un approccio critico, che in un festival passa attraverso la selezione, ma anche nell'accumulo di titoli risultano delle falle inspiegabili. Possibile che i tanti selezionatori non si siano accorti di O Quinto Imperio di De Oliveira, della sublime e rigorosa indipendenza di Paulo Rocha e del suo Vanitas? Quale metro fa sì che Jean Claude Rousseau fosse presente lo scorso anno ma non in questa edizione? Non ci sembra che la sua ricerca abbia cambiato direzione; così come è un insulto al cinema proiettare per ben due volte Une Visite Au Louvre di Huillet/Straub sullo schermo piccolo del De Unie. Il focus sul Sud Est asiatico conferma l'urgenza di scoprire cinemi attivi nelle pieghe di popolazioni sconfinate per cultura e numero; 19 i film (più un mare di corti), pochi rispetto ai Paesi presenti, ma c'è anche il focus sul cinema russo post SSSR che comprende 7 opere tra il '99 e il 2005. Per il resto anche Rotterdam acclama lo splendido Los Muertos di Alonso, affidando la presidenza della giuria al giovane argentino e si affida a Jia Zhang-ke, che presentava un programma di tre corti, per scoprire la miriade di direzioni in cui va il cinema cinese.


In finale anche Rotterdam soffre dell'atmosfera olandese, dove la libertà, la tolleranza, la mescolanza e l'internazionalismo sono "capitalizzati" nelle vetrine. Siamo felici però che in questa esposizione Tonino De Bernardi abbia un posto da star nella sezione dei Maestros e il suo Marlene De Sousa figura in catalogo tra Hou Hsiao-Hsien, Assayas, Ruiz, Miyazaki e la grande Kira Muratova, mentre 300 persone fanno la fila per entrare in sala.

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