#Russia2018 – Dai moscerini ai sentimenti (…prima di Islanda-Nigeria)

La partita più importante del mondiale è quella sulla carta forse meno attesa. E ci lascia immaginare una (im)probabile storia d’amore

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Fu all’alba del 16 giugno 2018 che il primo stormo aereonautico di moscerini provenienti dagli Urali, dal Mar Caspio o da chissà dove, attaccò Volgograd. La città era abituata ad essere attaccata. Già si era dovuta difendere dai Cosacchi, da Hitler e da Stalin stesso. Ma, come teorizzato dal famoso stratega Bertinotti, i moscerini erano troppo più forti di tutte le altre armate. Gli incauti inglesi dovettero penare non poco per fare servizi tv in cui si diceva che tutto andava bene, e la nazionale avrebbe vinto. I tunisini se ne fregavano. Scomparsi inglesi e tunisini vennero presto sostituiti da altri due popoli, come da voler del comandante supremo Putin, il quale non voleva ci si affezionasse troppo a una città, per non destare troppi sospetti di romanticismo russo. Chi doveva sostituire avrebbe dato luogo ad una delle più straordinarie ed epiche battaglie antropologiche che il calcio moderno ricordi:

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ISLANDA vs NIGERIA

Intorno al 20 giugno fu così che Hekla Einarsdottir si trovò coi suoi amici islandesi a entrare nel famigerato ostello volgogradese di Blagodat, per poter avere tutto il tempo di studiare il territorio prima di colpire il nemico nigeriano presso la Volgograd Arena.
Veramente ad Hekla non solo non fregava di avere nemici, ma non fregava molto neanche della nazionale islandese, segreto che nessuno -sia in Islanda che nel resto del mondo- poteva immaginare.
Caso vuole che lo stesso famigerato 20 giugno il gruppo di molto incazzati tifosi nigeriani provenienti direttamente da Lagos -e capeggiati dal guerriero della savana Kewa Oni- si fermassero ad alloggiare nello stesso ostello.
Fra essi il più giovane era Ade Idowu e aveva preso l’occasione del mondiale per girare il mondo a seguito del fratello Kewa. Si sapeva bene che ad Ade del calcio fregasse meno di zero.
Ma ai maledetti moscerini aereonautici non fregava né del calcio né del resto, e senza una punta di umiltà avevano già preso possesso dell’ostello come fosse casa propria.
Al 21 giugno, un giorno prima della battaglia, la situazione per i clienti era insostenibile. Avvenne quindi che la notte tra il 21 e il 22, colti da insonnia, caldo e moscerini, Hekla e Ade venissero a trovarsi entrambi nella “hall” dell’ostello (una specie di ammuffita living room pulita solo recentemente dopo almeno 10 anni di attesa). Seduti su due drammatiche poltrone i due facevano finta di guardare una tv che non prendeva canali inglesi, e sparava termini russi ogni due secondi. Così iniziarono a guardarsi e poco dopo il nigeriano prese coraggio, dicendo in un inglese esatto ma dal forte accento, che neanche a Lagos aveva mai visto “so many midges”. Hekla sorrise e iniziarono a parlare. Mancava meno di 24 ore alla grande battaglia antropologica.

Ecco. Islanda VS Nigeria potrebbe essere lo spunto di un racconto. Sicuramente intanto è lo straordinario incontro culturale tra due popoli che non potrebbero essere più diversi. Il mondiale affascina proprio per queste particolari partite.

Sappiamo bene come sia facile usare la metafora bellica parlando di calcio, e il fatto di giocare nella famosa città, una volta conosciuta come Stalingrado, dà ancora più charme al tutto. Sarebbe altresì semplice ribaltare la cosa narrativamente, immaginandosi un, forse improbabile, amore tra la giovane islandese Helka e il giovane nigeriano Ade.

Il calcio è veramente troppo vicino al teatro per non permettere di sognare. Addirittura l’assenza di soluzione di continuità (che ha fatto gridare allo scandalo chi non voleva l’introduzione del VAR) permette la creazione di un flusso narrativo che può vivere in 90 minuti eccezionali acuti circondati da soporiferi vuoti. Un flusso che può ricordare benissimo una love story, magari improvvisa, fugace e totale.

Quanto c’è di cinema in tutto ciò? Il cinema teoricamente è una finzione costruita in modo tale da sembrare realtà. Dico teoricamente perché il cinema di oggi, il cinema 2.0, post 95, post jurassic park, post digitale, può essere diverso. Nel senso: siamo condannati a restare kubrickiani? Oppure possiamo ipotizzare nuovi modi di fare cinema grazie alla naturale crescita tecnologica? Il digitale può cogliere il flusso. Ricordiamo sempre con piacere Lynch scoprire la pd150 sony, che gli permette di fare takes da 20 minuti. Lynch disse che pensò molto se abbandonare o meno l’amata pellicola, ma poi le caratteristiche del nuovo mezzo lo convinsero ad abbracciare il nuovo, fregandosene bellamente della grana che ancora all’epoca il digitale mostrava in registrazione (tanto più che a Lynch sono sempre piaciute di più le immagini brutte).

Quindi una chiave di lettura può essere vista nel calcio che adotta il nuovo chiamato VAR. Usando il digitale il cinema ha già adottato il proprio VAR, ma le resistenze sono ancora molte. Nelle scuole per esempio si insegna a ricostruire la vita sul set. Una vita ricostruita eeregolarizzata che a volte diventa asfittica, senza nemmeno porsi il problema di cosa esista fuori dal set.

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Ma il fuoricampo di Islanda-Nigeria esiste ed è enorme. Anzi viene paura a pensare di racchiuderlo in semplici pensieri. Sarebbe logico ricostruirlo sul set? O sarebbe totalmente fuorviante? Il digitale non ci permette di entrare più profondamente nelle pieghe della narrazione togliendo il peso della confezione per raccontare più potentemente la volatile sostanza di uno sguardo? Come quello scambiatosi tra l’immaginaria Helka e l’immaginario Ade?

Se pensiamo a Islanda e Nigeria ci vengono in mente due nazioni ai margini della storia, che riescono a crescere in modo tale da organizzare a livello nazionale una squadra di calcio da poter portare al Mondiale. Qualcuno potrebbe obiettare che non ci sia nulla di più futile. Ma è vero che in questo modo due culture agli antipodi possono trovare il modo di dialogare su di un “terreno” comune. Uno sport le cui regole sono chiare e semplici e solo rispettandole si può comunicare. Però il cinema è un linguaggio, non registra solo il dato filmico come fosse un goal. Lo interpreta mentre lo registra. Allora le cose si fanno più complesse e la partita sta per iniziare.

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