#Russia2018 – Per una teoria del complotto – La variabile russa

E se la squadra di Putin arrivasse tra le prime quattro? Ecco tre o quattro motivi extracalcistici da non sottovalutare.

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Breve premessa. Il sottoscritto è un vero e proprio appassionato di teorie del complotto e della prodigiosa letteratura distopica che esse generano nell’immaginario collettivo. Dall’assassinio di John Kennedy allo sbarco sulla Luna, fino ad arrivare al gol annullato a Turone in Juventus Roma del 1981, adoro processare il corso spietato e nebuloso della Storia e immaginare un’anti-Storia più “giusta”, in cui l’America non va in Vietnam, Aldo Moro non viene giustiziato dalle Brigate Rosse (o dalla Cia?), l’Olanda vince i mondiali del ‘74, la Roma – che è la squadra per cui tifo se non fosse chiaro – i due o tre scudetti in più che avrebbe meritato e la Juventus i cinque o sei scudetti in meno che… sto scherzando dai!

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Riavvolgo il nastro e ricomincio da capo. Questo che leggerete è un pezzo semiserio, da prendere “alla leggera” quindi, su una sorta di preveggenza che ieri ho avuto sbirciando qua e là i cinque gol che nella partita d’esordio la squadra organizzatrice di questi mondiali 2018, la Russia, ha rifilato agli undici giocatori dell’Arabia Saudita. Una preveggenza avvalorata da altri frammenti sparsi: il discorso inaugurale che il presidente Putin ha concesso in mondovisione, impeccabile, corretto e quindi perfetto per qualsiasi chiave di lettura di stampo orwelliano e dittatoriale si voglia applicare (“Benvenuti in Russia, un Paese aperto, ospitale e amichevole”), le reazioni composte e implicitamente perverse dello stesso presidente ai gol della “sua” nazionale davanti allo sceicco (ecco un video). Qualcosa che si avvicina a un segnale di ineluttabilità e superiorità che nello sport è bene non sottovalutare. La preveggenza è la seguente: per quanto contraria a ogni logica calcistica, la Russia finirà tra le prime quattro.

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La teoria è azzardata, per non dire ampiamente discutibile, ma si basa su alcune variabili che mi divertirò a indicare di seguito.

 

Il potere del Paese ospitante

L’albo d’oro dei mondiali parla chiaro. Su venti edizioni passate, in almeno tredici occasioni la squadra organizzatrice è riuscita a centrare uno dei primi quattro posti. Una statistica del 65%. Per sei volte nel XX secolo, in alcuni casi in corrispondenza di regimi politici, la nazione ospitante ha alzato in cielo la Coppa del mondo. Se il più delle volte il primo posto ha immortalato squadre chiaramente superiori, in altre occasioni non è stato così. L’Argentina campione del mondo nel 1978, ad esempio, era meno forte delle squadre che precedette nella griglia finale: Olanda, Brasile e Italia. L’Inghilterra del 1966 vinse la finale con un gol irregolare. E squadre abbastanza modeste come il Cile del 1962 e la Corea del sud del 2002 hanno raggiunto le semifinali con percorsi a dir poco discutibili.

 

C’è sempre una prima volta

A dispetto della buona tradizione dei Paesi dell’est europeo, la Russia non solo non ha mai vinto un titolo mondiale, ma non ha neppure disputato una finale. Il risultato migliore a oggi sono le semifinali del 1966. La logica dice che questa è un’anomalia piuttosto sorprendente, che prima o poi potrebbe essere annullata. E perché non proprio quest’anno? Un grande risultato sportivo e mediatico sarebbe l’anello mancante per il grande ritorno sugli scenari internazionali dell’ex Unione Sovietica.

 

La questione doping

Uno delle grandi narrazioni della storia del calcio e dello sport in generale è quella del debole che per vincere contro il più forte altera la propria prestazione sportiva. I mondiali segnano il primo casus belli nel 1954, quando la Germania sconfisse in finale a sorpresa l’Ungheria di Puskas, una delle squadri più forti del Novecento, recuperando da 0-2. Diversi giocatori di quella squadra finirono in ospedale pochi giorni dopo la partita, colpiti da uno strano morbo itterico. Quasi subito molti giornali parlarono di squadra drogata e di vittoria truccata. Da allora il sospetto di doping nell’immaginario collettivo calcistico si è ampiamente diffuso, avvalorato qua e là da squalifiche, indagini, processi e morti sospette. Vado a memoria e potrei sbagliarmi, ma l’ultima esclusione eccellente per doping di un giocatore a un mondiale è quella di Diego Armando Maradona a USA 1994. Da quel momento in poi la Fifa sembra aver vigilato sapientemente sulla regolarità delle prestazioni fisiche dei calciatori. Personalmente ricordo una Corea del sud arrivare quarta nel 2002 giocando a una velocità da videogame con giocatori che a fatica avrebbero trovato spazio in una squadra della serie B italiana. La Russia 2018 dovrebbe replicare quel tipo di exploit, con una squadra sulla carta anche migliore. Un articolo del Der Spiegel dello scorso anno ha denunciato un programma doping che il governo russo avrebbe affidato al chimico Grigorij Rodtschenkow in vista dei mondiali di calcio. Quest’ultimo era già stato coinvolto in uno scandalo simile per le Olimpiadi invernali di Sochi del 2014.

 

Avversari e tabellone

L’Argentina del ‘78 si qualificò per la finale grazie a un 6-0 “sospetto” contro il Perù che le fece raggiungere una differenza reti migliore del Brasile. Per quanto fosse prevedibile la vittoria, il 5-0 agli arabi ha messo la nazionale russa in una posizione ottimale in vista del primato nel proprio girone, non particolarmente competitivo. Bastano due pareggi con Egitto e Uruguay per accedere agli ottavi, ma vincere una delle due gli potrebbe permettere di passare al primo posto e di affrontare la seconda del girone B che potrebbero essere la Spagna o il Portogallo. Lì servirà l’impresa. Ma forse Putin ha già fatto bene i suoi calcoli. Provate a pensarci: se ci fosse lui dietro il “caso” Lopetegui? E se fosse sua la longa manus dietro la champions vinta dal Real Madrid, in un progetto perverso per far arrivare appagati al mondiale sia gli spagnoli sia la stella del Portogallo Ronaldo?
Ebbene sì: adoro il complottismo!

 

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