Che cos’è il ricordo? È qualcosa che hai o qualcosa che hai perduto? Takeshi Kitano sembra girare per circa due ore, di scatologica follia, intorno a questo interrogativo. Il cinema gli appartiene o è qualcosa che sembra svanire inesorabilmente? Si, certamente, la trasversalità, come il rasoio che squarcia gole, è sempre il campo di battaglia preferito, auspicato. Getting Any? e Sonatine sembrano fondersi, ma è tutto l’immaginario gangster movie a ripopolarsi di senile fecondità. Sette anziani, ex membri della Yakuza, si ritrovano per l’ultima impresa, quella di smascherare una banda di malfattori privi di codice d’onore, capaci di truffare anche le persone più indifese. Tutto nasce da Ryuzo, maltrattato in casa dal figlio e dalla nuora, che sta giorno e notte in canottiera ad allenarsi e a terrorizzare i bambini del quartiere. Un giorno viene raggirato da falsi colleghi del figlio e non esiterà a richiamare la vecchia guardia per farla pagare ai suoi aguzzini. Parte una lunga carrellata di gag e situazioni comiche, degne del miglior show televisivo, riscoprendo in tre scene anche Kitano, commissario di polizia, amico d’infanzia dei “sette samurai” e pronto ad evitare inevitabili spargimenti di sangue. Ryuzo con due dita mutilate non vuole rinnegare il suo passato e trova l’occasione per rispolverare la sua smania di combattere.

Cinema che si rifiutava di parlare ad un tratto (e nei tratti pulsa meravigliosamente Kitano) si riscopre nel cosiddetto cinema minore, che racconta il contrario del contrario. Di uomini buoni, di funzionari dabbene è aduggiata la nostra vita oltre il sensato; ecco, in Kitano manca proprio il sensato (soprattutto nell’ultima fase creativa). Ci guida ancora una volta a comprendere che è proprio il tiranno a mancarci, l’uomo che in se unisca oggi magnificenza e ferocia, ad occhi chiusi, magari. La vita, il cinema, sono come il baseball, parafrasando il protagonista: ti esalti nella partecipazione, cedi alla paura quando giunge il momento di smettere. Allora, dinanzi a quest’opera, cadiamo nel sentenzioso? Ecco, non ferocia

, ma un gelo del cuore che commercia sempre e solo con la morte: costui, Kitano il tiranno lo sa probabilmente e quindi, sempre più, abbisogna del buffone; ed è di questo tiranno che il buffone abbisogna; altrimenti non nasce; non ha battute sulla sua “agile” lingua; è un essere invernale e querulo, e tutto può capitargli, anche di avere delle idee (magari quelle visivamente ispirate di qualche film fa…). Stiamo ancora una volta comunque ai due lati del silenzio atroce, inabitabile, angoscioso, orrido, che è denso e pungente tanto da uccidere subito chiunque lo tocchi, ecco perché i partecipanti alla storia cadono come pere ad un pugno mal sferrato o ad un fendente di lama poco credibile. E dall’altra parte c’è magicamente la chiacchiera fievole e un poco stolta, fatte di sillabe slegate, di parole usate come fossero prive di senso, di ammicchi, smorfie, ecco, smorfie, perché una bocca storta in modo ridevole è inquilina assidua del silenzio, il ricordo del silenzio.

Ryuzo and his seven henchmen, di Takeshi Kitano
proiezione a INGRESSO GRATUITO questa sera, 10 novembre h 20.30
in collaborazione con AsianWorld.it
Sentieri Selvaggi, via Carlo Botta 19 a Roma