San Junipero Nostalghia. Il greatest hits di Black Mirror

Il quarto episodio della terza stagione di Black Mirror omaggia gli anni 80 e riflette sul vintage come grande tema nascosto del racconto e dell’estetica contemporanei.

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You can trip around the world without leaving your easy chair” dicevano i Bran Van 3000 nel loro esordio Glee (1998), quello di Drinking in L.A. e uno degli album più belli e riepilogativi degli anni 90, coacervo di musica alternativa, hip hop, rock e dance, in un cocktail lussuoso e fruibilissimo che appariva già come primitiva traccia-playlist per il terzo millennio. Quella era una specie di collection oppiacea e innocua adatta per qualsiasi tipo di contesto o stato d’animo: il viaggio, il pub, il rave, la dichiarazione d’amore. Qualche anno dopo questa polifunzionalità spaziale ed emotiva avrebbe interessato anche le categorie del tempo. Sarebbe così nato un genere che non è un genere, uno stato d’animo che non è soltanto uno stato d’animo ma anche “visione”, gusto… e soprattutto avrebbe visto la luce una malinconia che diventa piacere, desiderio ossessivo e avremmo scoperto il passato sopravvivere al futuro.

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Per certi versi questo è un miracolo e si chiama vintage. In una teoria evoluzionistica delle arti e dei linguaggi questo arretramento anti-moderno assume i contorni della stravaganza quasi inconcepibile. Ma il vintage è la via di fuga del nostro tempo. Non è invenzione. Lo possiamo toccare con mano dentro e fuori di noi. Le musiche e i colori li ricordiamo vivendoli… adesso. Lo ripete continuamente del resto Yorkie a Kelly, toccando la carrozzeria delle automobili e la sabbia di San Junipero, nel quarto episodio della nuova stagione di Black Mirror, produzione Netflix. It’s real. San Junipero è il mondo dove possiamo viaggiare senza lasciare la nostra comoda sedia (“without leaving your easy chair”, appunto), una realtà alternativa che è a tutti gli effetti la seconda possibilità per malati terminali in prova o persone defunte per davvero che vivono il loro aldilà cristallizzate in una eterna giovinezza nel decennio preferito. E quello di Kate e Yorkie sono gli anni 80, fatti di videogame cabinati, bracciali, giacche a jeans e soprattutto musicassette. A San Junipero la canzone perfetta non può che essere Heaven is a Place on Earth di Belinda Carlisle e il film da vedere al cinema il sabato sera diventa inevitabilmente Ragazzi perduti di Joel Shumacher – dal quale il regista dell’episodio, Owen Harris, riprende gli iperrealismi cromatici al neon. Tutto dev’essere filologicamente corretto e lo è. Il look da college girl di Yorkie, figlia e vittima di una provincia americana reazionaria e repressa, è quello che abbiamo visto in tanti horror fantasy del periodo che si focalizzavano su quella classe sociale, mentre quello cool e libidinoso di Kelly riproduce l’immaginario del pubblico di MTV di quegli anni, tanta Madonna e un pizzico di Apollonia Kotero, quella di Prince.

L’effetto greatest hits di questo episodio di Black Mirror raggiunge il suo apice nel divertente e rapido montaggio in cui vediamo Yorkie provare look differenti accompagnata da altrettante canzoni rigorosamente eighties: Girlfriend in a Coma degli Smiths, Don’t you (Forget about me) dei Simple Minds, Addicted to Love di Robert Palmer. In poche immagini assistiamo a una sintesi perfetta tra moda e musica che non solo ci descrive la fragilità e allo stesso tempo l’esuberanza interiore del personaggio, ma anche le tante anime del decennio di riferimento e ci dice come gli anni 80 – ma non è un discorso che potremmo ampliare a qualsiasi epoca? – siano stati tante cose diverse: per chi li ha vissuti, per chi li ha raccontati e forse soprattutto per chi li ri-vive oggi senza nemmeno esserci stato in quello spazio-tempo.

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Il vintage, inteso in questo caso come nostalgia per il passato, è al centro di un’altra serie Netflix di successo uscita quest’anno, quella Strangers Things su cui si sono scritte e dette tante cose e che ripercorre l’immaginario cinematografico di E.T., La cosa, Gremlins/Explorers, I Goonies, più quello di John Hughes e altri ancora. Inevitabilmente sta diventando il grande tema nascosto dell’arte e del racconto contemporanei. E forse l’unica formula rimasta a soddisfare i nostri piaceri da grande e piccolo schermo è proprio quella delle compilation (di canzoni, oggetti, abiti, palazzi, modi di dire). In San Junipero dietro le superfici ottantesche c’è però anche una storia d’amore omosessuale intensa tra le due protagoniste. La televisione di venti anni fa avrebbe probabilmente avuto difficoltà ad affrontare un soggetto così esplicitamente gay ed è questo forse l’elemento che rappresenta il legame tra l’emotività del mondo di oggi e l’estetica di quello di ieri. È il cordone ombelicale (e morale!) tra il passato e il presente. E alla fine c’è un conflitto cruciale che il personaggio di Kate deve sciogliere. È un’esplicita metafora dello spettatore e dell’ autore contemporanei: sposare il greatest hits di ciò che amiamo o rispettare la legge del dolore?

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