SANS AMOUR – Il rottamatore

amour
Han
eke è talmente concentrato sul processo, sulla dinamica, da dimenticare completamente la centralità di chi dovrebbe mettere in moto (o subire, è lo stesso), animare il tutto: i personaggi, cioè gli attori. Ed è un paradosso

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michael haneke emmanuelle riva jean-louis trintignant“Suu-rrr le pont d’Avignon”. Di oltre cento minuti di film, l’unica cosa che resta è lo strazio di una balbettante Emmanuelle Riva, che, imboccata da Jean-Louis Trintignant, tenta a fatica di ripetere i versi della celebre filastrocca. Ma sia chiaro. La scena non è straziante, è straziata. E non è solo una questione di tempi del participio. Si tratta di stabilire chi siano le vere vittime di questo stanco e monotono gioco. Non siamo mica di fronte a Chow Yun-fat che implora il suo amico di mangiare “quella cazzo di arancia” in A Better Tomorrow II. C’è solo l’immagine di una macchina inceppata, di un giocattolo rotto, di una cosa che non funziona più a dovere. Perché il creatore ha deciso così, il regista ha stabilito che non fosse più il caso di insistere. Da buttare. Haneke il rottamatore, o meglio il rott, visto che la parola amatore ben poco gli si addice. Il rottweiler, il cane d’attacco del tempo, il cerbero seduto alle porte degli inferi, a far la guardia contro l’imprudenza dei piccioni. Ma anche questo sarebbe troppo.

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Parlare di coraggio appare fuori luogo. Perché quella pretesa di raccontare l’indicibile non tiene conto del fatto che il cinema è da sempre, e oggi più che mai, ossessionato dalla morte, è attraversato, scosso, fratturato da cento, mille piccole morti. E basterebbe pensare alla sincerità di Ann Hui, Gus Van Sant, Philippe Lioret, per rendersi conto di come i tabù sono solo negli occhi di chi non vede. Semmai, al contrario, sembra di riconoscere i segni della paura in quegli interni asfittici, in quei lunghi piani fissi controllati, in quella narrazione circolare perfettamente chiusa e impermeabile. Haneke, per evitare ogni tentazione, ogni contagio, ogni minima sorpresa, si richiude nel suo solito mondo grigio, senza possibilità di appello e di speranza, senza uno spiraglio d’aria, che possa ripulire e aprire quella scatola imbalsamata del set. Saranno i fiori adagiati sul letto di morte. Ma c’è odore di stantio nella casa di Georges e Anne. E non basta una finestra aperta, a far sentire il suono del mondo. Neanche la morte, checché se ne dica, funziona come liberazione. Perché, scommettiamo, quel grigiore, quell'odore continueranno a pesare, attraverseranno, film dopo film, ogni immagine e ogni pensiero di questo triste austriaco che resuscita Trintignant, solo per obbligarlo a morire.

 

trintignant e rivaEcco. Haneke intitola il suo film Amour, e sembra una ridicola offesa non tanto nei confronti del cinema, quanto dell’amore. O meglio, dell’amore e della morte. Cioè, della vita: la nostra, le nostre emozioni più profonde e indicibili, i lutti privati, le nostre perdite. Haneke pretende di raccontarci le verità profonde di cose che viviamo già sulla pelle da sempre. Le manca, ovviamente, perché è incapace di accettare e, quindi, di raccontare ciò che di più vero c’è al fondo: il sentimento, ovvero la trama concreta delle persone. Il suo sguardo è offuscato da una (labile, invero) tesi, l’inevitabile consunzione dell’anima che accompagna quella del corpo, delle facoltà mentali. Ma le cose, la gente, il mondo, a volte, sono irriducibili a un discorso matematico. Haneke è talmente concentrato sul processo, sulla dinamica, da dimenticare completamente la centralità di chi dovrebbe mettere in moto (o subire, è lo stesso), animare il tutto: i personaggi, cioè gli attori. Ed è un paradosso, visto che questa messa in scena timorosa si riduce volontariamente a un dramma da camera completamente incentrato sugli attori. Sul volto di Trintignant e di Emmanuelle Riva prova a disegnarsi il senso profondo del dramma. Ma la loro interpretazione non può mai andare oltre il velo dell’artificio, perché è lasciata da sola, abbandonata, cristallizzata dagli occhi di vetro di un regista, che rifiuta di partecipare, nel timore, magari, di essere risucchiato nel gorgo di disperazione. Haneke fa a pezzi i suoi attori, con una crudeltà lenta, sottile. Ne spegne ogni fremito, ogni battito vitale. Li costringe a saltare dalla finestra pur di liberarsi della sua morsa soffocante. Ma, così facendo, distrugge in un attimo la stessa possibilità del suo film, che solo su quegli interpreti può far affidamento. "Restano gesti spogli, privati di qualunque carica di amore e odio". E proprio quei gesti sembrano alimentare un personale rito, però ormai svuotato di qualsiasi logica e di qualsiasi potere taumaturgico. Il cinema di Haneke non esiste. È un teatro spogliato dei corpi. Una messa stanca, senza canti, senza celebranti e senza fedeli. Può continuare così. Un mondo in preda al terrore continuerà a dargli premi.

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    7 commenti

    • Ammazza quanto so’ fighi questi de sentieriservaggi… tutto stanno ‘a parla’ bene der film de Aneche e loro lo stroncano de brutto. No una, ma ben du’ vorte!!
      E perchè lo stroncano?
      Mah… che te devo di’? Forse per spirito de contraddizzione. Siccome è piaciuto a tutti, loro ne devono parla’ male, se smarcano, sennò che ce stanno a ffa’? Così potranno di’ che ce so’ cascati tutti ma loro no, so’ più furbi, nun se fanno incanta’ da certi giochetti. Oppure je starà antipatico er regista, perché ogni vorta che va a ‘n festival se porta a casa i mejo premi.
      Ma avranno argomentato in qualche modo.
      Come no. Ma je fanno schifo propio le cose che a me me so’ piaciute. Oh, sarà che ce so’ passato pur’io co’ mi padre, ma a me m’ha pure commosso. E so’ uscito più leggero.
      Tu non ci capisci tanto di cinema.
      Sarà. Però se ancora nun l’hai visto, damme retta: vacce, nun te fida’ de ‘sti cinefili co’ a puzza sott’ar naso. Magari nun te piace, ma giudica con la testa tua. E pure un po’ col core.

    • Il cuore di Haneke é di vetro. Il suo é un cinema di testa. Piace a chi al cinema (e nella vita????) si dimentica del corpo. Molte grazie dottor Spiniello.

    • a massimo sei er mejo…artro che 'sti servaggi

    • Ora pero’ b-a-s-t-a!
      Limitatevi a sperticarvi in lodi per prodottoni da minus habens (ma come si fa a prendere sul serio, per dire, Transformers ed affini?) e lasciate stare le cose piu’ grandi di voi.
      Continuate ad usare la vostra terminologia intellettual-masturbatoria per trovare del buono in panettonesche zozzerie nostrane ed abbandonate ogni tentativo di comprensione per cose che voi onanisti da circolo chiuso non potete arrivare a cogliere.
      Vergognatevi solo un po’, magari, per questo attacco mirato ed ingiustificato, per di piu’ concordato a tavolino (o volete dirmi che li’ dentro avete tutti la medesima sensibilita’ da ingenua verginella?)
      Grazie Haneke per questo ennesimo meraviglioso gioiello.

    • In effetti queste riflessioni hanno sorpreso anche me..proprio tutto da rottamare?è racconto intimo non storia universale con una interpretazione che mi è sembrata oltre l'artificio..insomma,un film da rivedere…B-)

    • Questa recensione è un insulto al Cinema e, più in generale, alla Cultura. Solo chi non ha studiato la settima arte può dare vita ad una recensione (che in questo caso è una semplice opinione) così approssimativa e piena di giudizi così personali e poco tecnici.

    • @caposala Questo tuo commento è un insulto alla libertà d'espressione. Se hai da criticare invece di lanciare anatemi inutili vai nel dettaglio… Io l'ho trovata intensa e stimolante, più del film di cui parla. Cosa sono poi i giudizi "impersonali" e "tecnici" non è dato saperlo, vero? Che puzzone! 🙂