Santiago, Italia, di Nanni Moretti

Un documentario politico, che alla fine parla all’Italia e all’Europa di oggi, ma soprattutto intimista nei toni, nello stile e nelle dimensioni

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Quattro capitoli per raccontare il colpo di stato in Cile nel 1973. Prima, durante e dopo. Si inizia con il triennio di Unitad Popolar del governo Allende, poi il golpe dell’11 settembre, le persecuzioni e le torture dei militari, l’ambasciata italiana di Santiago che accoglie centinaia di rifugiati, fino al finale viaggio in Italia, verso una nuova vita e un Paese molto diverso da come è oggi. È un incedere serrato, ma mai sensazionalistico quello di Santiago, Italia di Nanni Moretti, che firma un documentario politico, certo, ma soprattutto intimista nei toni, nello stile e nelle dimensioni (85’).

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Il materiale di repertorio è usato con parsimonia ed essenzialità, per lasciare ampio spazio alle interviste ai rifugiati, che raccontano la loro esperienza al regista. Ci sono i registi Patricio Guzmàn e Miguel Littìn, il traduttore Rodrigo Vergara, il diplomatico Piero De Masi, ma anche artigiani, operai, giornalisti, tutti con un’esperienza da raccontare e ricordare, un trauma da elaborare (Marcia Scantlebury con tragica ironia riporta la violenza delle torture), o un’ideologia politica da rivendicare (“In ogni posto dove ho lavorato sono sempre stato delegato sindacale dei miei colleghi italiani” ricorda l’operaio David Munoz).

Come già avvenuto nelle sue opere di fiction a cominciare da Il caimano, Moretti si fa da parte, relega la sua voce e il suo corpo in un fuori campo passivo-attivo. Lo vediamo nella prima immagine di spalle, davanti alla vastità della metropoli cilena. Quasi a cercare un punto di vista e una distanza da cui far iniziare questa sua trasferta sudamericana che alla fine si riflette in un “ritorno a casa”, in un parlare “a noi”. Il Moretti autore qua e là si concede qualche firma autoreferenziale (“Io non sono imparziale”) o il finale musicale che come sempre suggerisce tracce di un possibile “altro” film. Ma i suoi controcampi di intervistatore servono soprattutto a interagire con i personaggi per creare una connessione affettuosa, trovare il giusto accordo con cui coniugare la storia pubblica con quella privata.

Due decenni dopo quelle tracce documentaristiche raccontate in Aprile ma mai esplorate davvero, il regista romano sembra finalmente aver raggiunto la sicurezza (o forse la necessità?) per raccontare le storie degli altri. Chiaramente il suo è un film sull’accoglienza, che soprattutto nell’ultima parte parla chiaramente all’Italia e all’Europa di oggi. Ma è anche un piccolo caro diario sull’ascolto, sul valore umano della ricezione. E in questo la semplicità formale del cinema morettiano diventa preziosa nel delineare eticamente il calore della condivisione. Ne viene fuori una polifonia di voci, caratteri e ricordi che ha il sapore delle confessioni sussurrate, degli echi e dei sentimenti che arrivano da lontano e resistono all’inesorabile incedere del tempo. Del resto Santiago, Italia è un’opera anche intrinsecamente nostalgica (è soprattutto qui che alcuni detrattori potrebbero affondare il colpo), che non solo guarda a un’epoca in cui il socialismo democratico era un’alternativa politica e culturale condivisa, ma sembra ripercorrere i tracciati generazionali di una giovinezza inesorabilmente trascorsa. In fin dei conti tutti in Santiago, Italia – dal regista agli intervistati – sembrano riappropriarsi, nel breve spazio di un’intervista o nella determinazione di una convinzione politica, della gioiosa ebbrezza e dell’incoscienza dei vent’anni. L’insolito freeze frame con cui Moretti chiude il film da questo punto di vista è tanto una sottolineatura ideologica accessoria, quanto, forse, il malinconico tentativo di fermare, in qualche modo, l’incedere della vita e del mondo.

 

Regia: Nanni Moretti

Distribuzione: Academy Two

Durata: 80′

Origine: Italia 2018

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