"Scooby Doo" di Raja Gosnell

Scooby è sempre un marchio sicuro di comicità? Forse una volta. I personaggi si attraggono fino alla reversibilità dei ruoli, senza però rispettare le regole della trivializzazione e del surrealismo, insite oramai nella comicità demenziale

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Del digitale fanno le spese ormai anche le creazioni di Hanna e Barbera. Ne sa qualcosa l’alano Scooby Doo, che dopo i 310 episodi prodotti dal 1969 in poi dalla tv americana, sbarca nei multiplex. Il film è solo, si fa per dire, puro vuoto pneumatico, anche se Mr.Bean sfrutta i mutevoli tratti somatici a favore della malvagità. Si tratta di una storia di fantasmi posticcia, senza la struttura cubica dei videogames “Tomb raider” e “Resident evil” beninteso, e senza soprattutto uno straccio di inventiva. Ma soprattutto mette in discussione un altro aspetto. Scooby è sempre un marchio sicuro di comicità? Forse una volta. Velma, Shaggy, Fred, Daphne, compari del danese più demenziale dei cartoon, si attraggono fino alla reversibilità dei ruoli, senza però rispettare le regole della trivializzazione e del surrealismo, insite oramai nella comicità demenziale (come “Austin Powers”). Manca insomma “l’umorismo più veloce” propugnato da Tex Avery. Nessuno, riteniamo, è disposto a concedere a questo adattamento un credito illimitato. Nel prototipo televisivo la risata derivava dalle reazioni parossistiche (la flatulenza) di Scooby Doo e Shaggy di fronte ai fantasmi. Da questa apoteosi dello spauracchio, il film lancia invece un pallido messaggio: lo spirito di gruppo vince anche sulle minacce paranormali e inintelligibili. Un messaggio però che si arrende alla dittatura della tecnologia. Questa si prende invece troppo sul serio. Nonostante la consapevolezza spettacolare, il personaggio di Scooby Doo dimostra che George Lucas ormai docet con la saga di “Star Wars” che, ormai un software, può rimpiazzare gli attori, e allora perché ammaestrare un alano? Il potere totalitario dei pixel facilita qualsiasi movimento, come quello di rendere un corpo flessibile, snodabile e magari con zampe prensili. Scelta utile per immergere il team del paranormale, nella parte pirotecnica del film, troppo ridondante a nostro avviso. E’ purtroppo un rifiuto metafisico delle vecchie tecniche come la pixillation, che tuttavia devono soggiacere alla velocità della digitalizzazione. Che è rimasto del vecchio cartoon, che tanto piaceva a noi altri? E’ rimasto semmai un montaggio che insegue nuove forme percettive attraverso un banale progetto sciamanico. E non è affatto un dettaglio. Accentua il fatto che eravamo sciocchi, ed eccessivi. E Scooby Doo lo prova ulteriormente.

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Titolo originale: Scooby-Doo
Regia: Raja Gosnell
Sceneggiatura: Craig Titley, James Gunn dai personaggi di William Hanna e Joseph Barbera
Fotografia: David Eggby
Montaggio: Kent Beyda
Musica: David Newman
Scenografia: Bill Boes
Costumi: Leesa Evans
Interpreti: Freddie Prinze jr. (Fred), Sarah Michelle Gellar (Daphne), Matthew Lillard (Shaggy), Rowan Atkinson (Emile Mondavarious), Neil Fanning (Scooby Doo), Linda Cardellini (Velma), Scott Innes (Scrappy Doo), Isla Fisher (Mary Jane)
Produzione: Charles Roven, Richard Suckle per Atlas Entertainment/Hanna-Barbera Productions/Meespierson Film CV/Mosaic Media Group/Village Roadshow Productions
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 121’
Origine: Usa/Australia, 2002

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