“Sedurre è manipolare”. Incontro con François Ozon per "Nella casa"

François Ozon sul set di Nella casa
Reduce dal trionfo di San Sebastian, François Ozon racconta il suo nuovo film Dans la maison – Nella casa, dal 18 aprile nelle sale italiane e apertura dei Rendez-Vous. Appuntamento con il nuovo cinema francese. Un film-saggio che mette in campo voyeurismo, relazione tra cinema, arte contemporanea e letteratura

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François Ozon sul set di Nella casaReduce dal trionfo di San Sebastian, dove ha vinto per miglior film e sceneggiatura, François Ozon racconta il suo nuovo film Dans la maison – Nella casa, dal 18 aprile nelle sale italiane e film di apertura dei Rendez-Vous. Appuntamento con il nuovo cinema francese, che da oggi fino all'11 maggio in giro per l'Italia – tra Roma, Palermo, Torino e Milano –  passerà in rassegna il panorama cinematografico d'Oltralpe.

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Il suo penultimo lavoro (il regista ha già ultimato il nuovo Jeune et jolie, forse al prossimo festival di Cannes), tratto dalla pièce teatrale spagnola Il ragazzo dell'ultimo banco di Juan Mayorga, mette in campo voyeurismo, relazione tra cinema, arte contemporanea e letteratura, ma soprattutto i rapporti di forza all'interno di uno spazio chiuso che sono ormai da tempo il marchio di fabbrica di questo ex enfant prodige della prestigiosa Femis.

 


Nella casa
mette in scena i personaggi di Germain (Fabrice Luchini) e Claude (il giovane Ernst Umhauer) come due proiezioni della stessa persona. Si può dire che è un personaggio contro se stesso?

Quello che mi piace del fare film è lasciare sempre libera interpretazione allo spettatore. Quando promuovo il film, sia dal pubblico che dalla stampa sento molte letture differenti e anche se diverse dalla mia intenzione iniziale non è detto che siano sbagliate. Indubbiamente Germain si identifica in Claude, a un certo punto sua moglie (Kristin Scott Thomas) gli fa persino notare come il ragazzo le ricordi lui da giovane, ma la differenza principale tra i due è che Claude ha del talento come scrittore.

 

Un altro tema del film è lo scambio tra realtà e fantasia e la vampirizzazione delle persone reali ai fini dell’arte. Claude si introduce nella casa per poter avere una storia da raccontare e ha bisogno di rimanervi per continuare il suo libro. In quanto sceneggiatore e regista lei in che modo reagisce a questo aspetto del suo lavoro? Fino a che punto considera lecito spingersi in nome dell’arte?

 

Sì, sono un vampiro! Ho bisogno di ispirarmi al reale, ho bisogno di una base documentaria per nutrire il mio immaginario. La base di partenza per una storia è sempre la realtà. L’ispirazione può venire da una storia che sento raccontare, da un articolo letto sul giornale, da un individuo che vedo per strada o da una scena a cui mi capita di assistere. È pieno di storie possibili quindi è di questo che ho bisogno. Poi a partire da questa base, cambio, seleziono, manipolo la realtà ma mi è necessaria questa base concreta.

 

Nel film dice che gli autori non sono mai soddisfatti dei loro finali. Quello che ha scelto era l’unico possibile o ce n’erano di alternativi?

 

Per me la fine non era importante, ho voluto lasciare allo spettatore il potere di decidere il finale circa la storia che veniva raccontata “nella casa”.  Per il film ho scelto un finale aperto, proprio perché quello che conta non è la conclusione del racconto ma la relazione tra professore e allievo. È per questo che ho voluto chiudere su questi due personaggi, che si ritrovano ancora una volta seduti su una panchina a raccontare di nuovo delle storie. È questo il vero soggetto del film:  l’incontro di due solitudini, due persone a disagio con la realtà che hanno bisogno di creare storie, hanno bisogno di finzione per poter continuare a vivere.

Poi forse c’è una frustrazione che alimento nel corso del film quando faccio dire a Germain che il finale deve’essere eclatante e sorprendente. Lo spettatore che entra nella storia si aspetta quindi che finisca come un film di Michael Haneke, in cui il protagonista uccide tutti, e poi invece faccio una piroetta e mi muovo nella direzione opposta.

 

Nella casa è una storia di seduzione, da una parte la seduzione di entrambi i protagonisti nei confronti della letteratura, dall’altra quella vera e propria di una donna borghese annoiata. Come ha lavorato su questo tema? E a proposito di “seduzioni”, c’è quella per il cinema di Woody Allen?

 

Non è tanto la seduzione quanto la manipolazione. Credo che quando Claude seduce Esther in una certa misura lo faccia per poter proseguire la sua storia ma la cosa interessante è che poi se ne innamora, è intrappolato dalla sua stessa manipolazione, dal suo stesso gioco.  Quello che più mi attrae di questa vicenda è che si seduce per manipolare.

 

Per quanto riguarda Allen, ho chiesto a Fabrice Luchini e Ksristin Scott Thomas di recitare ispirandosi ai duetti di Allen e Diane Keaton (basti pensare a Misterioso omicidio a Manhattan, ndr) ma l’influenza più grande è senz’altro quella esercitata dal cinema di Hitchcock, colui che ha teorizzato la suspense e il posto dello spettatore all’interno del film. È vero, come mi è stato fatto spesso notare, che l’ultima inquadratura è un omaggio a La finestra sul cortile, un riferimento incosciente a cui mi hanno fatto pensare i giornalisti nei vari incontri. Io avevo in mente più un’installazione di arte contemporanea, visto che Germain per tutto il tempo dichiara di detestarla mi è parso divertente che alla fine di tutto vi si ritrovasse dentro.

 

 

Ha detto che Claude resta intrappolato dalla sua creatura letteraria Esther. In questo rapporto manipolativo tra autore-personaggio Nella casa appare simile alla relazione tra Charlotte Rampling e Ludivine Sagnier di Swimming Pool, oltre alla comune riflessione sulla creazione artistica. Come è evoluto il suo pensiero su questo soggetto?

 

Swimming Pool era più un film sull’ispirazione, la storia di una scrittrice che non sa più cosa raccontare. Mentre Claude, qui, vuole imparare come raccontare: che genere intraprendere, che sguardo avere sui personaggi, il tono da usare – farsesco, melodrammatico. Sarah Morton in Swimming Pool ha la tecnica ma cerca il desiderio per avere di nuovo voglia di raccontare una storia. Per Claude le storie sono invece dappertutto: gli è sufficiente entrare in una casa e c’è una storia. Deve capire come narrarla.

 

Tornando al discorso sulla seduzione e all’interprete, lei aveva in ballo con Emmanuelle Seigner un progetto, poi non realizzato, in cui avrebbe dovuto sedurre un adolescente. Come mai la vede così morbosa. L’attrice ha detto di non essersi riconosciuta nel film. Che lavoro ha fatto con lei?

 

Sì, Emmanuelle non si è piaciuta, si è trovata brutta! Anni fa c’era l’idea di girare un film sul genere di Quell’estate del ’42, con una donna che ha una storia con l’amico del figlio. Poi non abbiamo avuto i fondi per realizzarlo ma quando ho iniziato a lavorare su Dans la maison ho pensato a lei per questo ruolo che non considero certo morboso, ma forse c’è una diversa concezione del sesso tra francesi e italiani.
In Francia Emmanuelle ottiene spesso ruoli sessualmente aggressivi mentre qui le ho dato un personaggio molto dolce, materno. Non è pericolosa, è piuttosto Claude a essere più morboso nei suoi confronti.

 

Esther ricorda una versione più matura del personaggio interpretato dalla Seigner in Luna di fiele, anch’esso oggetto dell’ossessione amorosa/letteraria del protagonista scrittore…è un riferimento voluto?

 

Non era intenzionale. È un film che ho visto molti anni fa e ora che ci penso c’era anche Kristin Scott Thomas nel ruolo dell’altra donna e ad un certo punto avevano un incontro lesbico. Nel mio film non si incontrano mai, le avevo filmate insieme nella scena del vernissage ma poi l’ho tagliata al montaggio.

 

Qualche anticipazione sul suo nuovo progetto?

 

Ho terminato da poco Jeune et Jolie, giovane e carina, con Marine Vacth, un’attrice poco conosciuta, e Charlotte Rampling, ritratto di una diciassettenne che scopre la sua sessualità. Torno ancora a lavorare su un’adolescente. Domani saprò se sarà al Festival di Cannes ma sono pessimista. Non hanno voluto PoticheDans la maison, perché dovrebbero prendere questo?

 

Infine, letteratura vs. arte contemporanea: è una dialettica che lei asseconda o solo un pretesto narrativo?

 

Mi interesseva mostrare questa lotta interna alla coppia, due visioni opposte dell'arte: Germain conservatore, con una visione molto classica della letteratura e dell'arte; sua moglie, che ama invece la scoperta di qualcosa di più moderno, cerca di trovare nuove forme di narrazione e di rapporto con il pubblico. Io non prendo posizioni.

 

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