SENTIERI SELVAGGI STORY – Eastwood Resurrection nello specchio meraviglioso della morte-amore: MEZZANOTTE NEL GIARDINO DEL BENE E DEL MALE

Mercoledì 27 ottobre, alle 23:30 su Rete 4, c'è un film imperdibile: MEZZANOTTE NEL GIARDINO DEL BENE E DEL MALE di Clint Eastwood.
Lo ricordiamo ripescando dal nostro archivio la recensione di Federico Chiacchiari da Sentieri selvaggi n.1, aprile 1998.

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Avete presente il cinema che “spacca il cuore”,  quello che stravolge le emozioni, che ci fa ridere piangere urlare rabbrividire? Film ‘corporei’, quasi ‘popolari’, passionalmente umani, meravigliosamente vulnerabili? Film come Titanic o I ponti di Madison County. Cineasti diversi eppure stranamente vicini come  Cameron e Eastwood. Proprio Clint Eastwood ci ha abituati, da sempre a un cinema passionale, di corpi impregnati di emozioni, di attimi rubati (d)alla vita, spine del cuore. Poi vediamo Mezzanotte nel giardino del bene e del male  e, per un attimo, siamo sconvolti, sorpresi. Il nostro Clint traccia un ritratto raffinatissimo, zeppo di problemi enormi e di straordinaria urgenza, eppure così, apparentemente, poco ‘sensibile’, ‘vivo’. Ecco, noi qui vogliamo provare a riflettere su questo film, che ti ‘scolpisce’ prima la corteccia cerebrale (e le certezze cerebrali) e poi, nel tempo, ti penetra dentro, cambiandoti i sensi, i desideri, i punti di vista. Già, i punti di vista. Pensato e ripensato. Viste le foto, rivisto mentalmente il film. Ma di chi diavolo è il punto di vista ‘vero’ di Mezzanotte nel giardino del bene e del male? Non certo del giovane e ingenuo ‘protagonista’ interpretato da John Cusack, per tutto il film sorpreso e a bocca aperta, ma poi anch’egli (come noi spettatori) disposto a ‘farsi cambiare’ dal film. E neppure del co-protagonista Kevin Spacey, interpretazione controllatissima fino allo sguardo finale ‘infinito’ nello specchio meraviglioso della morte-amore.

E allora? Allora suggeriamo una strada impervia, forse impossibile. Il punto di vista del film è quello del morto, cioè dell’amore. E, paradossalmente, e oltre ogni logica, ragione e metodologia critica accettabile, Mezzanotte nel giardino del bene e del male è il più grande, straordinario film di Clint Eastwood sui sentimenti dell’uomo. Proprio mentre mostra altro. Proprio perché mostra altro.  Perché il massimo dell’intensità dei sentimenti non è  nell’urlare a qualcuno “ti amo”, ma in quegli attimi che lo precedono, quelli che ti gonfiano le arterie, quelli che sono, appunto, indicibili. Perché il massimo dei sentimenti è  indicibile.  Lo si può provare, non raccontare.  E Eastwood come solo Truffaut, Fassbinder e pochi altri geni straordinari del Novecento, ci parla continuamente d’amore attraverso il suo (apparentemente) opposto più grande: la morte.

La morte come amore? O meglio, l’amore per la morte (per i morti) come estremo atto d’amore (im)possibile? Oppure, ancora, la morte come necessità assoluta di ri-nascita, e cioè, guarda un po’, come ri-nascita dell’amore?

L’amore che ‘ci’ proviene da I ponti di Madison County è un amore di due ‘morti’. Che rivivono (ri-nascono) proprio nella loro storia d’amore raccontata dalla protagonista, post-mortem, attraverso una lettera ai figli. Qui i morti ci insegnano, letteralmente, a vivere, ci raccontano del ‘provare’ qualcosa, dell’essere coinvolti del tutto.

Sembra un caso? No. Un mondo perfetto. Di che parla? Di amore e morte. L’amore per un’idea di collettività, di comunità. E la morte del ‘sogno’ americano, con l’assassinio di Kennedy. Perché Eastwood sceglie, per raccontarci la fine dell’innocenza, proprio un criminale fuggito dal carcere e un bambino? Non portano dentro di sé le tracce della morte e dell’amore (per la vita) dal primo all’ultimo fotogramma?

Punto terzo. Gli spietati. Altra re-surrezione. Altra ri-nascita. E Il cavaliere pallido? Non è forse un ‘(non) morto’ che arriva da chissà dove e chissà dove andrà? Non è il giovane pistolero de Il cavaliere della valle solitaria: è uno spettro, un’ombra bianca proveniente dal regno dei morti. Non proseguiamo oltre, anche se Bird è in assoluto il film sul troppo bisogno di vita che diviene morte (ne sanno qualcosa altri estremi innamorati della vita come Charlie Parker, gente come John Belushi e Fassbinder), mentre Cacciatore bianco, cuore nero, e l’ossessionata caccia del protagonista all’elefante, altro non è che un rovesciamento dell’assunto: la ricerca della morte (propria o dell’elefante) come disperata ricerca di una vita (diversa). Non la morte in sé, ma la ricerca della morte. Esattamente come non l’amore in sé….. ma ‘la nascita dell’amore’.

Mezzanotte nel giardino del bene e del male ha con la morte un rapporto stupendo. E’ la protagonista assoluta del film. Viene evocata, invocata, praticata, trovata. Ed esprime meglio di ogni altra seria riflessione teorica il tentativo eastwoodiano (da sempre) di raccontarci un’altra razionalità, altri punti di riferimento, altre (in)certezze. La donna nera e i suoi ‘esercizi spirituali’ non sono, per Eastwood, ‘colore’, gioco, divertissment. Al contrario egli è terribilmente serio sull’argomento. I MORTI CI PARLANO. I MORTI CI ASCOLTANO. Non li dobbiamo temere. Al contrario di The Game di Fincher, che ha invece con i morti (con il cinema e, perciò, con la vita) un rapporto del tutto ‘strumentale’ ai fini narrativi, Mezzanotte nel giardino del bene e del male è il film più antimanicheo possibile. Ma senza essere ambiguo. Non fa finta  di non riconoscere il bene e il male. Anzi, li evidenzia a tal punto che sono palpabili, quasi elementi ‘vivi’. ‘Semplicemente’ (cioè con una complessità strutturale e narrativa che solo un cineasta classico come lui possiede) Eastwood, man mano che la sua vita ‘si avvicina alla morte’ (come tutte le vite, del resto), man mano che la morte diviene sempre più un elemento ‘possibile’ (cosa invece del tutto impensabile in gioventù), si dedica ad essa, ne sa tirar fuori come forse solo il Truffaut di La camera verde e il Troisi di Morto Troisi viva Troisi, tutti gi elementi ‘vitali’ possibili, non rinunciando mai, neppure per un attimo, al suo straordinario ‘cinema del cuore’.

Kevin Spacey supera il verdetto difficile del tribunale e, finalmente fuori del carcere, può ‘ritornare alla vita’. Breve attimo, perché “l’amore è più freddo della morte”. E’ un caso che muore ‘colpito al cuore’ (in una sequenza incredibile di ‘riposizionamento del reale’, che mescola colpi di pistola sparati al cuore e ‘colpi’ provenienti dall’interno del cuore…)? E che cade in terra proprio specularmente al suo amante ucciso (in un’immagine che davvero fa rabbrividire)?

Nel suo film (solo) apparentemente più compassato e ‘distaccato’, Clint Eastwood chiude una storia d’amore e morte con due fantasmi che si sorridono – morti- in terra. Cinema di fantasmi. Cinema sulle diverse percezioni di realtà. Tutto Mezzanotte nel giardino del bene e del male non fa che mettere in discussione ogni nostro pregiudizio morale e razionale. La cognizione del reale viene stravolta. I reali possibili sono tantissimi, infiniti. Comprendere questo assunto significa disporsi diversamente nei confronti degli altri, fino ad accettare, come fa John Cusack nel finale, con il tipo di colore che porta a spasso un cane ‘inesistente’ (o solo ‘invisibile’?), i loro stessi paradigmi.

Accettare le diversità degli altri, i loro anche impossibili punti di vista. Bella sfida eastwoodiana a un’America che vorrebbe imporre i propri punti di vista e stili di vita e pensiero al mondo intero. Straordinaria lezione (autocritica?) per imparare a vivere nel XXI secolo.

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