Serie TV – Empire (is a state of mind …)

Da qualunque lato la si voglia vedere, qualunque sia la propria base culturale di riferimento, Empire è in grado di intrigare qualunque spettatore (perfino chi ama le soap) ed offrigli sempre nuove chiavi di lettura.

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Lucious Lyon ce l’ha fatta! A dispetto del suo turbolento passato fatto di criminalità e povertà, è diventato uno dei musicisti più noti è apprezzati d’America (tanto da permettersi di chiamare per nome il Presidente degli Stati Uniti), è a capo della sua etichetta discografica, la Empire, che a breve sarà quotata in borsa. Purtroppo, però, gli viene diagnosticata la SLA con un’attesa di vita di pochi mesi. A questo punto decide di mettere in competizione i suoi tre figli per il ruolo di suo successore: André, privo di talento musicale, ma esperto di finanza (il vero terreno sul quale si decide ormai il futuro di qualsiasi azienda) e già suo braccio destro; Jamal, senz’altro il più dotato artisticamente ma, come tutti gli artisti puri, lontano dalle dinamiche competitive che sono alla base di un ruolo di comando e, per giunta, omosessuale (aspetto che potrebbe avere un cattivo ritorno d’immagine, specie nella comunità nera, ancora molto bigotta su queste tematiche); ed infine Hakeem, anche lui promettente rapper ma viziato ed incostante che vive essenzialmente all’ombra del padre di cui sente di essere il preferito. A complicare ulteriormente le cose c’è la scarcerazione della ex-moglie Cookie che torna a reclamare un posto alla Empire dopo aver scontato una lunga condanna per spaccio di droga (assumendosi tutte colpe e tenendo fuori Lucious) i cui proventi sono stati fondamentali per la creazione della casa discografica.
Vista così, ad uno sguardo superficiale, Empire può sembrare poco più che la versione afroamericana di una soap alla Dinasty: rivalità, tradimenti e trame elaborate nell’ombra per arrivare ai soldi di papà.
Empire, invece, è molto più di questo e forse è il caso di mettere in fila i temi su cui riflettere.

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Riferimenti shakespeariani
Chissà come mai gli autori delle più seguite serie TV statunitensi (da Lost ad House of Cards), non riescono a trattenersi “dall’ancorare” la loro narrazione a pilastri rassicuranti come quelli shakespeariani? In questo caso, gli stessi creatori: Lee Daniels e Danny Strong ammettono tranquillamente di essersi ispirati a Re Lear, almeno per la parte iniziale, ma i riferimenti al Bardo non si esauriscono lì: impossibile non pensare a Lady Macbeth vedendo agire Rhonda (la moglie di André).

Il talento come dovere
Empire è, innanzitutto, un bignami della storia della musica nera, almeno dai Jackson Five a Jay-Z. Certo, anche se la serie è ambientata nel mondo dell’ Hip Hop contemporaneo, è impossibile non pensare a Michael Jackson sentendo cantare Jamal, non solo per la voce in falsetto, ma soprattutto per la sua capacità di piazzarsi sempre al confine fra musica nera e bianca. Vedendolo duettare con il fratello Hakeem, poi, tornano alla mente le magiche armonie vocali che hanno reso incredibilmente ricchi tutti i figli di papà Joe Jackson. Le similitudini fra la famiglia Lyon e la famiglia Jackson proseguono anche nella figura di questo padre che, avendo vissuto la povertà, è ossessionato dal talento dei figli tanto da usare qualsiasi mezzo (inganno, umiliazione, violenza) pur di tirarglielo fuori.
Ma oltre al legame (di finzione) con la famiglia Jackson, davvero gli sceneggiatori hanno fatto di tutto per omaggiare tutta la musica nera e gli artisti non si sono certo negati visto che questa è stata una delle serie più affollate di celebrità: dalle madri spirituali come Patti LaBelle e Gladys Knight, passando per Cuba Gooding Jr. fino ai contemporanei come Snoop Dog e Mary J. Blige, e nomi altrettanto grossi (come Alicia Keyes e Lenny Kravitz) si fanno per la prossima stagione. Ma in questa serie c’è anche chi non c’è (e lo vedremo soprattutto più avanti quando parleremo del passato “Gangsta rapper” di Lucious) e forse l’omaggio più grande Daniels e Strong lo riservano al personaggio che, specie dopo il matrimonio con Beyoncé, è quanto di più simile (in termini di patrimonio) a Lucious Lyon: Jay-Z, dando all’etichetta di Lucious il nome di una delle sue canzoni di maggior successo: Empire State of Mind.

Musica creativa o finanza creativa?
Dice Lucious nella prima punta al suo consiglio di amministrazione: “Il mercato della musica è cambiato, oggi non è più possibile per gli artisti che vengono dalla strada fare soldi con la musica e cambiare le proprie vite come ho fatto io”, da cui la decisione di quotarsi in borsa. E’ proprio così! Oggi il mercato della musica, come tutta “l’economia reale” del resto, sembra incapace di procedere sulle proprie gambe e cerca in continuazione un “appoggio” nella finanza. E così tutta la serie è un continuo affannarsi nella ricerca di un sound artisticamente innovativo (ma anche commercialmente potente) e, al tempo stesso, di costruzioni finanziarie che permettano di avere le risorse sufficienti per realizzarlo. Quando però, come nel finale di stagione, la finanza volta le spalle alla musica, la caduta non può che essere rovinosa.

Boyz in the Hood
Si diceva poco fa che in questa serie “c’è anche chi non c’è”, è una serie piena di fantasmi: Tupac Shakur e Notorius B.I.G. per primi, e con loro tutto quel mondo delle gang che negli anni novanta hanno rappresentato la faccia nascosta della luna per tanta musica afroamericana. Della Death Row Records (la casa discografica di Tupac Shakur, ma anche di Snoop Dog) si diceva che fosse nata, proprio come la Empire, dai proventi dello spaccio di droga. Questi ambienti e queste storie hanno anche contribuito, in quegli anni, al rilancio del cinema di genere “black oriented”. E allora è un vero piacere vedere che dietro la macchina da presa nell’episodio (Legami Pericolosi) che rievoca (con la scusa di una presunta minaccia di morte subita da Cookie) gli omicidi gemelli di Tupac Shakur e Notorius B.I.G, c’è proprio il John Singleton del fondamentale “Boyz in the Hood” oppure vedere che il penultimo episodio (La legge del più più forte) è diretto dal grande Mario Van Peebles (autore degli altrettanto essenziali “New Jack City” e “Posse”).

Da qualunque lato la si voglia vedere, qualunque sia la propria base culturale di riferimento, Empire è in grado di intrigare qualunque spettatore (perfino chi ama le soap) ed offrigli sempre nuove chiavi di lettura, oltre a garantirgli un viaggio musicale più avvincente di qualunque X – Factor.

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