SERIE TV – The Leftovers, di Damon Lindelof

Lindelof, per la prima volta nella sua carriera, sceglie saggiamente di non far ruotare l'intero intreccio sul Mistero, ma si sforza di lasciare sullo sfondo un pretesto straordinario per concentrarsi sulle emozioni di coloro che sono rimasti (i leftovers), di indagare su cosa è cambiato negli ordinari cittadini di Mapleton

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Cosa succederebbe se di punto in bianco il 2% della popolazione mondiale scomparisse nel nulla? Se nostro padre, il nostro migliore amico, la vicina di casa, svanissero senza alcun motivo logico? Parlando in un'ottica generale, 2% è una percentuale minuscola, quasi irrilevante; ma applicandola al genere umano, significherebbe perdere circa 140 milioni di persone, che equivalgono grossomodo all'intera popolazione russa. Queste le premesse da cui parte The Leftovers, l'ultima serie targata Damon Lindelof (Lost, Prometheus), tratta dal romanzo del 2011 di Tom Perrotta (già autore di Little Children) e distribuita in Italia da Sky.

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Ogni volta che si accosta il nome di Lindelof a un progetto televisivo o cinematografico, le emozioni sono contrastanti: se da una parte lo sceneggiatore e produttore americano ha indubbiamente saputo portare una ventata di freschezza nella struttura della serie TV (già a partire dal 2004), dall'altra si è sempre ritrovato a fare i conti con un'inconcludenza patologica dell'intreccio narrativo, aggravata da innumerevoli misteri e nodi mai risolti interamente. Chi ha seguito i sei anni di Lost, o ha visto Prometheus ha imparato a conoscere Lindelof, ad amarlo e odiarlo. Pertanto, di fronte a un prodotto come The Leftovers, le premesse e le riserve erano in egual misura elevate. E alla fine di questa prima stagione possiamo sicuramente dire che qualcosa, seppure solo il tempo potrà confermare questa sensazione, si sta muovendo all'orizzonte.

Lindelof, per la prima volta nella sua carriera, sceglie saggiamente di non far ruotare l'intero intreccio sul Mistero, sulle ragioni dietro l'evento soprannaturale, ma si sforza di lasciare sullo sfondo un pretesto straordinario per concentrarsi sulle emozioni di coloro che sono rimasti (i leftovers), di indagare su cosa è cambiato negli ordinari cittadini di Mapleton, costretti dalla realtà stessa a confrontarsi con le più forti paure umane: la casualità del tutto, l'insensatezza della vita. Più del lutto per le perdite subite, come possono gli uomini elaborare l'impossibilità di dare un senso al mondo? Dal disperato tentativo dello sceriffo Garvey (Justin Theroux) di rimettere insieme la sua famiglia, al nichilismo sfrenato dei Guilty Reminders, alla cieca fede in Dio del reverendo Jamison (Christopher Eccleston), ognuno in The Leftovers cerca la propria dimensione in un mondo stravolto.

Alla fine del primo capitolo di questa nuova avventura, sembra che Damon Lindelof stia cercando di abbandonare le cattive abitudini, cercando di rimediare agli errori del passato. Tuttavia, pur lasciando ai margini dell'intreccio gli elementi soprannaturali e i misteri inspiegabili, essi sussistono (complici anche una regia e un montaggio volutamente vaporosi, eterei, frammentati). Ed è proprio qui che risiede il rischio maggiore per una serie come The Leftovers: dal momento che si è scelto di ricorrere all'inspiegabile, non si può nè relegarlo a semplice orpello strumentale per attirare spettatori, nè liquidarlo con spiegazioni grossolane o triti e ritriti plot twist, ricadendo così nei soliti vizi lostiani. Con questa prima stagione, Lindelof ha alzato la posta ulteriormente rispetto al passato, prendendosi una responsabilità non indifferente. La sensazione è infatti che questa sia l'ultima chance per lo sceneggiatore americano di considerarsi ed essere considerato credibile. E noi siamo pronti, anche se per l'ultima volta, a dargli fiducia.

 

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