Sicilia Queer FilmFest 2017 – The Misandrists

La provocazione di Bruce LaBruce è un innocuo divertissement, una capriola postmoderna che fa più o meno ritornare al punto di partenza lo spettatore. Inventa un neo-genere, il queer pulp

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Tremate, tremate, le streghe son tornate al VII Queer Film Fest. Quelle di Bruce LaBruce non hanno i poteri sovrannaturali delle protagoniste di Suspiria o de Las brujas de Zugarramurdi di Alex de la Iglesia ma ne condividono il proto femminismo reazionario caratterizzato da misandria. Nelle verdi campagne berlinesi si aggira lo spettro del maschio rivoluzionario che cerca di combattere il sistema con forme di resistenza armata. Ma guai se questo maschio finisce nelle grinfie del gruppo FLA (Female Liberation Army), capeggiato dalla perfida Big Mother (splendida Susanne Sachsse in una interpretazione costantemente sopra le righe) che incarna follia e megalomania sul modello della Norma Desmond di Sunset Boulevard. Bruce LaBruce si inventa un neo-genere, il queer pulp disegnandolo sull’eredità Grindhouse del duo Tarantino/Rodriguez e con più di un omaggio al Rocky Horror Picture Show sia nella confusione dell’identità sessuale che nella caustica parodia. Ai colori accesi di una fotografia iperrealista che esalta il rosso del sangue e il rosa della pelle viene contrapposto l’inserto sgranato del filmino porno gay e della operazione di cambio di sesso ripresa in tempo reale in sala operatoria. Il messaggio di Bruce LaBruce sembra alquanto diretto: dietro l’ironia del burlesque è nascosta una critica a tutti i razzismi e le intolleranze, da qualsiasi parte provengano. La discriminazione verso il transessuale Isolde (Kita Updike) o le frasi di scherno verso gli attori omosessuali impegnati in acrobazie ginniche sembra dello stesso segno e colore di quella subita dalla componente lesbica.
Rispetto a The Raspberry Reich e Gerontophilia, Bruce LaBruce perde molto in determinazione e coerenza interna per lasciarsi andare a una deriva autoparodica che potrebbe essere fonte di confusione. Infatti accanto alla dotte citazioni di tutta la filosofia alla base dei movimenti femministi (viene citato Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, i testi del sessuologo Wilhelm Reich, il film Bambule di Eberhard Itzenplitz,) si ironizza anche pesantemente sulla fallofobia e sulla componente nazifascista di movimenti organizzati con regole militari e refrattari a qualsiasi critica democratica (il riferimento a Full Metal Jacket è evidente). La stessa organizzazione monacale nasconde dietro inni e preghiere la certezza incrollabile verso la propria Fede simbolizzata dalla gigantografia di una vagina. Soprattutto nella seconda parte il regista canadese perde il filo del discorso lasciandosi travolgere da una forzata semplificazione che ha il suo climax nella scena dell’evirazione del povero Volker con successivo bagno di sangue al rallentatore: i metodi della Big Mother, Lady Gaga con protesi meccanica alle gambe importata direttamente dal Crash di Cronenberg, finiscono per banalizzare tutti i buoni propositi e le giuste rivendicazioni. La porno-utopia di un mondo senza maschi in cui sia possibile riprodursi per partenogenesi si risolve nell’autofinanziamento del FLA con pornografia lesbica più vicina all’esempio soft-core. Con la beffa di alimentare il sistema proprio con quei metodi che si vorrebbero stigmatizzare.
Il gioco della guerra nell’innocua battaglia dei cuscini al ralenti viene trasposto e smitizzato nel finale in un groviglio di corpi tra uova e fragole: allora perché chiudere il film con il materiale fotografico d’archivio di tutti i movimenti per la liberazione della donna? Prendiamo la provocazione di LaBruce come un innocuo divertissement, una capriola postmoderna che fa più o meno ritornare al punto di partenza lo spettatore.

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