#Sicilia Queer FilmFest – Il diario della seconda giornata

Il festival entra nel vivo con la sezione Shorts, dove la tematica queer si presta a mille interpretazioni di genere, dal mélo al road movie. Tra i lunghi spicca l’omaggio al cinema classico di Baier

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Seconda interessante giornata per il Queer Film Fest. Si inizia con l’omaggio a Buster Keaton e Roscoe Arbuckle nel corto The Garage (1919). Sin dalle prime comiche l’attenzione geometrica degli spazi, il rapporto tra soggetto e oggetti ingovernabili e un rispetto certosino dei tempi producono un effetto esilarante sullo spettatore. Queste caratteristiche renderanno unico e inimitabile il cinema di Buster Keaton.

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la nuit s'achèvePer il Panorama Queer un film molto particolare e anche gradito dalla maggior parte del pubblico presente in sala: La Nuit s’achève (2015) di Cyril Leuthy. Il regista, nativo della Lorena, racconta la storia di tre francesi che dopo 50 anni ritornano in Algeria alla ricerca delle proprie radici.

Lo stile semi-documentaristico è arricchito dalla forte analisi politico-sociale (gli eccidi del FLN, la guerra franco-algerina), dalla componente autobiografica (due ragazzi tengono celata la natura della loro relazione, il padre si rituffa nella malinconia di un passato glorioso) e da escursioni nel campo musicale (la classica di Monteverdi, la chanson di Cristiane Lys) e cinematografico (l’omaggio al film omonimo del 1950 di Pierre Mere). Il risultato finale è un opera coerente, rigorosa e in certi punti commovente.

O passaro da noite

O Passaro da Noite (2015) di Narue Losier

Per la sezione Queer Short sono stati presentati i primi 8 cortometraggi: Funny Boys (2016) di Martina Bertino è la cronaca romanzata di un viaggio nello Sri Lanka alla ricerca delle atmosfere del romanzo Funny Boy di Selvadurai. Ottimo il lavoro di montaggio anche se la voce narrante in alcuni punti è un po’ strabordante. Ama (2015) dell’Ecole Gobelins racconta in tre intensi minuti, attraverso l’animazione, il colpo di fulmine tra una giapponese e una turista americana. Leggerezza del tocco, tecnica mista e una particolare sensibilità lo rendono un prodotto di buon livello. Pink Boy (2015) dell’americano Eric Rockey vede come protagonista un bambino di 9 anni che ama travestirsi da donna. Nonostante la ottima fattura del risultato finale, risulta un po’ forzato l’intervento dell’autore soprattutto nel disegnare il rapporto manipolatorio madre-figlio.

Un chiaro omaggio a Jan Svankmejer è Kurochka Ryaba (2015) di Vasily Kiseley che in tre scatenati minuti mette alla berlina i servizi segreti russi e americani con intelligenza e autoironia. Out (2015) di Gsus Lopez propone la storia tra una divorziata di mezza età e il figlio Oscar che fa outing dichiarando la propria omosessualità. Nonostante l’uso ipercromatico della fotografia e una particolare attenzione alla scenografia il debito con il cinema di Almodovar e Dolan (citati in locandine appese alle pareti) è molto evidente.

la vanité

La vanité di Lionel Baier

Più riuscito è il corto svedese di Mikael Bundsen Mammaa Vet Bast (2015) che in un lungo piano sequenza fa lentamente emergere le contraddizioni e le pulsioni subconsce in un breve viaggio in macchina tra madre iperprotettiva e figlio omosessuale. E veniamo alle opere preferite di questa prima tranche: O Passaro da Noite (2015) di Narue Losier è un delirio visivo con nette influenze tassidermiche che racconta, trasfigurandola nella metamorfosi e nel mito, la storia di Fernando-Deborah Krystal performer del club Finalmente di Lisbona. Infine Au Bruit Des Clochettes (2015) dell’afghana Chabname Zariab mette insieme progresso e tradizione narrando con estrema delicatezza la storia del danzatore Saman, succube del maestro Farroukhzad che lo costringe alla prostituzione. Bellissimo lo scambio di sguardi tra Saman e il bambino che dovrebbe prendere il suo posto o il campo fisso che inquadra la violenza psicologica subita: in quel vorticare folle nella danza finale c’è un alto, silenzioso urlo di libertà.
In serata è stato proposto nella sezione Nuove Visioni il film di Axel Ranisch Alki Alki (2015) in cui viene presentata una famiglia molto particolare alle prese con turbolenze sessuali e sentimentali. Nella prima parte funzionano bene le trovate grottesche e iperrealiste poi il film si incanala in una prevedibile conclusione che sembra sconfessare l’assunto iniziale.

Chiusura notturna  con la ultima riuscita opera di Lionel Baier (presente in sala e intervistato da Andrea Inzerillo) La Vanité (2015), che conferma il talento del regista franco-svizzero nel rappresentare con finezza psicologica la figura di David Miller, architetto che vuole ricorrere alla pratica del suicidio assistito e della vedova Esperanza (grande Carmen Maura) che cerca di aiutarlo. L’impostazione teatrale dell’opera fa risaltare la prova dei due personaggi principali e rivela i debiti con il melodramma di Douglas Sirk e con il cinema classico di Lubitsch e Capra.

 

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